“Le degenerate” un libro di J. Albert Mann

Una storia che racconta la storia della salute mentale e la storia di tante ragazze

“Le degenerate” parla di salute mentale attraverso la storia e le storie di ragazze americane del 1928, ma non pensate che non centri nulla con ciò che accade oggi, non pensate che non descriva situazioni attuali, racconta dove tutto ha avuto inizio.

la trama

Ci troviamo in America prima della crisi del ’29, i fatti si svolgono in parte lunghe le strade povere di una qualsiasi città statunitense, e per la maggior parte tra le 4 enormi mura di un manicomio femminile. Qui troviamo le storie di London, immigrata italiana il cui vero nome è Filomena, che cerca di sopravvivere alla povertà e alla mancanza dei genitori, e che si trova incinta al momento del suo internamento. Rose ha la sindrome di Down e sua sorella Maxine che cerca in ogni modo di prendersene cura, si trovano qui perché “ritardate”, Alice abbandonata dalla famiglia perché ha il piede equino ed è qui inserita fra le incorreggibili perché afroamericana. Nella storia si intrecciano questioni sociali, politiche e personali; troviamo pregiudizi, l’inizio della psichiatria con test assolutamente primitivi e non scientifici. Nella storia troviamo la voglia di fuggire ma anche trovare piccole strategie per sopravvivere: una bacchetta magica, i lavori manuali, rubare il cibo.

Questa storia parla in modo semplice di storie difficili e complesse (TW: attenzione, si parla di violenza, razzismo ed aborti), ma con tanti spunti di riflessione, provo a suggerirne alcuni.

la salute mentale femminile

In questo libro troviamo solo donne: donne che lavorano nel manicomio, donne che si prendono cura delle ragazze, donne internate (sarebbe meglio dire anche bambine e ragazzine), donne con potere di decidere diagnosi e interventi, se così possiamo definirli.

Ci sembra che sia lontano dalla nostra realtà, ma non è così.

Molti studi confermano che esiste ancora una disparità di genere rispetto alla relazione fra salute e donne: Cooper et. al., 2017 hanno confermato come le donne con demenza ricevono mediamente trattamenti medici meno efficaci rispetto agli uomini con la stessa condizione. Yu, 2018 ha indagato sul fatto che alle donne vengono diagnosticati più spesso disturbi mentali e che questo comporti come alle donne vengono prescritti più spesso psicofarmaci (Bacigalupe & Martin, 2021 ).

Per non parlare poi delle neurdivergenze: Loomes et. al., 2017 hanno condotto ricerche proprio su quanto l’autismo nel genere femminile sia sotto diagnosticato. Questo perchè la maggior parte dei test diagnostici che utilizziamo non sono stati tarati, pensati e provati sulle donne. Questo crea discriminazione e crea pregiudizi ma soprattutto dolore alle donne con questi disturbi: ad esempio non venendo riconosciuta la propria neurodivergenza, aumenta il masking, cioè la modalità in cui maschero ciò che provo per adattarmi al contesto esterno e a ciò che mi viene richiesto, anche in quanto donna. Se vuoi saperne di più ti consiglio di partecipare ai corsi della dott.ssa Eleonora Marocchini che spesso si occupa anche di neurodivergenze e genere https://www.narraction.com/divergente

pregiudizi

Nel libro troviamo pregiudizi sul colore della pelle, sulla nazionalità di appartenenza, sui corpi e sul funzionamento intellettivo. Molti pregiudizi sono ancora reali e concreti, sia se si ha un disturbo mentale, ma anche se si è un operatore per la salute mentale. Possiamo trovare pregiudizi nelle persone se condividiamo un percorso personale di cura, ma anche se siamo operatori richiamo di ricorrere alle etichette perchè più immediate rapide. Ogni tanto occorre fermarsi a pensare a quali pregiudizi vediamo e sentiamo intorno a noi o il rischio è quello di essere sommersi e inglobati nel sistema.

Di pregiudizi ne avevo parlato qui https://www.serenaneri.it/pregiudizi-sulla-salute-mentale/

…ma quindi chi può leggere questo libro?!

Tutti e tutte! La storia è adatta dai 13 anni, ci sono descrizioni abbastanza crude, ma sia all’inizio che al termine del libro si trovano le spiegazioni storiche e tutte le note a riguardo. Credo anche che possa essere anche un ottimo strumento didattico per chi studia scienze umane, descrive in modo realistico i manicomi femminili di inizio ‘900 e, come descritto nell’articolo, si colleghi in modo molto concreto con tante realtà odierne riguardo la salute mentale.

Qui puoi ordinarlo https://www.uovonero.com/catalogo/i-geodi/2150-le-degenerate-2

Saresti così bella: un romanzo distopico decisamente reale

Da sempre mi sono piaciuti i libri dispotici, li ho sempre trovati così vicini alla realtà ma con quel giusto distacco capace di farci riflettere su aspetti della realtà che spesso sottovalutiamo.

Quando ho iniziato a leggere “Saresti così bella” di Holly Bourne edito da Camelozampa, https://www.camelozampa.com/shop/saresti-cosi-bella/ ho pensato che è il libro giusto per le giovani e i giovani che vivono in questi anni.

Parla di corpi, di social, di regole della società, di esclusione e di inclusione, con quel giusto distacco che perette la riflessione su questi temi.

TRIGGER WARNING: corpi, disturbi del comportamento alimentare, diete e cibo e violenza di genere. Se in questo momento questi temi ti toccano in modo personale, non leggere questo libro e nemmeno questo articolo, la tua salute mentale resta sempre la cosa più importante!

I corpi

La storia viene narrata in parallelo da Belle, già nel nome una richiesta di “essere bella”, cerca di fare ogni cosa per avere un corpo perfetto e bellissimo:

  • la preghiera fisica: quella che noi chiameremo ginnastica per il dimagrimento
  • tisane: quello che noi chiamiamo cibo light, o meglio ancora cultura della dieta
  • le maschere: quelle che noi chiamiamo trucchi e creme per non mostrare rughe, inestetismi, cellulite…

Tutto questo caldeggiata dalla madre che era una “bellissima” ma che ora sta per finire nel gruppo delle donne dimenticate perchè non più ‘perfette’, a meno che non facciamo interventi per tornare come quando erano giovani.

La storia di Belle assomiglia a tante storie di ragazze, che cercano in ogni modo di rientrare nei canoni nonostante si sentano stanche, sfiniti ed affamate. Ci sono molte parti in cui Belle si definisce affamata, in cui spiega ciò che sente e cosa vorrebbe ma anche come resistere a quella voglia.

Poi c’è Joni, una ragazza che si veste in modo comodo, non usa maschere e non fa esercizio fisico se non perché ne ha voglia, sua madre è stata vittima di violenza di genere e ora si occupa di un centro in cui vengono accolte donne che come lei, hanno subito violenza domestica. Joni ha solo un desiderio: riuscire a studiare lontano dalla loro città per poter cambiare davvero le cose per le donne.

la società

La società in cui Belle e Joni vivono, si dice libera, sembra che le donne e le ragazze possano scegliere cosa fare dei loro corpi e questa idea di libertà viene più volte nominate all’interno dell’intero romanzo: ma non è altro che una facciata.

La società è basata su una intanto idea di libertà, in cui le parole non si tramutano in azione ma restano solo vuote.

L’autrice al termine del libro ci sottolinea quanto questo romanzo sia estremamente reale e davvero così importante per le nuove generazioni ( trovate qui la biografia dell’autrice https://hollybourne.co.uk ).

Incipit del libro: cosa c’è di vero e cosa invece di finto in queste parole?

i social

Il Ranking invece è una sorta di social su cellulari in cui caricare le proprie foto, fatte decisamente in modo perfetto ma che sembrino naturalissime, e più approvazioni ci sono, più si sale in alto nel ranking della scuola. Questo conduce anche a diventare la più bella o il più bello del ballo…. ricorda nulla di conosciuto ?!?!

La descrizione dell’uso di questo ranking è la cosa più simile all’ossessione che possa esserci, il guardarsi in modo continuo, studiare ogni millimetro della foto per mostrare tutto perfetto, la ricerca di ciò che è bellissimo e senza nessuna imperfezione.

Quante storie sento ogni giorno di ragazze, ma anche ragazzi, che si fanno mille foto prima di scegliere il vestito giusto o la foto profilo giusta, che le mandano ad amici e amiche per avere la loro approvazione per poterla postare, la fatica nel trovare la posizione perfetta per nascondere parti del corpo o per mostrarne altre, la fatica per stare in un gruppo in cui l’apparenza è l’essenza.

la storia e le storie

Non vi dirò tutta la storia, o meglio, le storie di Belle e Joni, ma sappiate che l’individuale si unisce strettamente con il sociale, come accade esattamente nella realtà.

Vogliamo un corpo particolare perchè è quello che ci mostrano, vogliamo essere apprezzatǝ a suon di numeri sui social, perchè ci dicono che è quello che ci dà un valore, vogliamo presentarci sempre in forma, perchè questo è salutare.

Invece la salute è composta da moltissime componenti, le emozioni sono personali e sempre valide, esattamente come lo sono i corpi…ma vi assicuro che al termine di questo romanzo troverete anche voi delle ottime risposte dopo esservi fattǝ ottime domande.

PER APPROFONDIRE https://www.serenaneri.it/category/prevenzione/

“Imperfetta” la storia di un corpo

Ci sono albi illustrati le cui immagine richiamano un immaginario infantile, albi illustrati le cui parole richiamano favole antiche, e albi illustrati in cui immagini e parole fanno vivere una storia che spesso è la storia di quasi tutti. Una storia “imperfetta”, la storia di un corpo, e di come subisce ciò che lo circonda.

LA STORIA NARRATA…E QUELLA VISSUTA

Questo albo illustrato è tratto da una storia vera, la storia della nascita di questo libro la potete trovare raccontata da Stefania Ciocca  a questo link. Per questo non mi soffermerò molto sulla trama, ma vorrei narrare la storia proprio partendo dalle immagini e dalle parole dell’albo. Il racconto di questa storia è autobiografico ma racconta anche la storia di quelle volte che ci siamo sentiti e sentite imperfettǝ, di quella volta che abbiamo sentito il desiderio di cambiarci, di quella volta che abbiamo visto un bambino o una bambina, guardarsi allo specchio senza piacersi perchè non uguale a qualcun altro, racconta di tutte le volte che ci siamo chiestǝ se avesse un senso modificare parti del nostro corpo… e se pensiamo di non aver mai avuto questi momenti: l’albo ci ricorda di quella volta che abbiamo provato tutto questo senza che ce ne accorgessimo.  

salute e bellezza

La storia inizia sin dalle prime pagine parlando del concetto di salute e di bellezza. Torniamo a un tema a me caro soprattutto negli ultimi anni, sul fatto che tendiamo a vedere come “sano” ciò che è anche esteticamente bello ( che poi ce lo portiamo avanti dall’antica Grecia, ma andiamo avanti…). I protagonisti del libro sono un’artista e un chirurgo plastico, e per l’artista era impensabile operare qualcosa di sano perchè diventi anche bello. 

Quante volte però anche noi scegliamo scelte belle, e intacchiamo ciò che c’è di sano? Mi vengono in mente i buchi alle orecchie, che appartengono da millenni alle culture umane ma che non hanno un senso di salute, anzi sono un foro nelle nostre orecchie, ma diventano per noi un valore personale e sociale. Solo su questa prima parte potrei scrivere pagine e pagine di riflessioni ma cercherò di concentrarmi solo su una riflessione: chi e cosa stabilisce ciò che è sano e ciò che è bello? 

La salute viene definita da standard clinici ma anche dalla percezione personalemi sento bene…mi sento forte… mi sento capace di affrontare questa cosa...”. La bellezza viene definita dallo sguardo di ognuno, ma anche dalla società “mi piace questo… ho visto la pubblicità di quello e lo devo avere!… questo vestito proprio non si può vedere, era scritto anche sul tal giornale…“. Quello che però unisce tutto è ciò che sceglie la persona, quanto riusciamo a esprimere e a capire cosa per noi è davvero bello e cosa scegliamo per il nostro corpo, in una parola: autodeterminazione. Questo deve iniziare sin da bambini, trovate un approfondimento qui .

la bellezza, il corpo e il pregiudizio 

Dave e Andrea, sono innamorati e si scambiano cartoline sulle loro giornate. Nelle aspettative di Andrea, l’artista, le giornate di Dave erano costellate di persone che volevano modificare il proprio corpo per apparire migliori, più bellǝ  , ma si accorge che Dave dona nuove possibilità.  Dona ai corpi delle persone la possibilità di sentirsi a proprio agio, di riacquistare parti di pelle che si erano rotte o ustionate.

Andrea ci mostra il pregiudizio ma anche la capacità di mettersi in ascolto, di andare oltre.  Sin da piccoli interiorizziamo i concetti di bellezza, cerchiamo di rappresentarli in pieno: il modo in cui vestirci, quanto essere forti, come avere i capelli… sono tutti interiorizzazioni di ciò che la società definisce bello e in questo albo Andrea si chiede davvero quanto costa raggiungere la bellezza.

la bellezza e il giudizio 
 

Una frase semplice che forse abbiamo pronunciato più e più volte nella nostra vita “temeva che lo avrebbero preso in giro…” . Dave racconta di come una mamma ha chiesto di operare il proprio figlio per paura delle derisioni che avrebbero potuto esserci in futuro. Queste frasi risvegliano in noi adulti la paura del nostro passato in cui magari siamo stati derisi, offesi, picchiati, allontanati, lasciati da soli, incompresi… e tutte queste emozioni ci fanno paura perchè tornano e tornano le sensazioni corporee che queste emozioni ci hanno lasciato. Andrea rivive in prima persona il suo passato in cui aveva iniziato a pensare di modificare il proprio corpo perchè non magro, perchè il naso era grosso, perchè il suo corpo “mi pareva informe e sgraziato… ero imbarazzata. Mi sentivo strana.” Pensa a come per tutti la scuola fosse un inferno tranne per l’unica ragazza che rispettava tutti i canoni di bellezza: il corpo era della dimensione giusta, i capelli perfetti, i vestiti alla moda. Per poter accompagnare bambini e bambine a sviluppare un’immagine corporea positiva, dobbiamo partire dagli adulti e dalle frasi, emozioni e sensazioni che hanno vissuto loro in prima persona, aiutarli a comprendere per poter modificare ciò che possono fare oggi. Per questo è nato il progetto “C’era una forma…” potete cliccare qui per saperne di più. 
decidere di essere imperfetta 

Andrea sceglie di restare “imperfetta“, ma la parte più interessante è la descrizione della sua fatica. Sì, proprio la fatica, scegliere di non cambiare, di stare in un luogo in cui si viene giudicati per come è il proprio corpo, è una scelta faticosa che richiede tempo per pensare alle conseguenze, al proprio sentire, a ciò che comporta quella decisione. Non è vero e nemmeno realistico usare frasi come “fregatene…non ci pensare… pensa con la tua testa” perchè non viviamo soli e nemmeno in un mondo perfetto.

Quello che possiamo fare sin da piccoli è lavorare sul come poter reagire ad alcuni eventi, alcune parole, alcune situazioni che possono accadere realmente. Costruire non solo una serie di risposte verbali da poter utilizzare, ma un vocabolario emotivo da sperimentare e su cui potersi sintonizzare.

la mia storia è la storia anche del mio corpo

Andrea spiega la sua storia in queste pagine . Lo spiega senza retorica, ci mette fatica, contraddizioni, pensieri, emozioni e comportamenti. Racconta la sua storia di bambina quando ormai è adulta, ma sarebbe bellissimo poter aiutare in quella fatica i bambini e le bambine che ora si sentono così, che ora sentono quel giudizio e quella fatica per accompagnarli e comprendere se le imperfezioni che vedono, lo sono davvero e possono conviverci e se non possono, aiutarli a capire il perchè.

Intuitive eating e bambini

Negli ultimi tempi si è iniziato a parlare anche in Italia di Intuitive Eating, se ne parla molto soprattutto per gli adulti, ma esiste anche ed è stato studiato per bambini e ragazzi. In questo articolo cercherò di spiegare cos’è Intuitive Eating (IE) e soprattutto come si declina per bambini e ragazzi.

Cos’è Intuitive Eating

L’ Intuitive Eating nasce negli Stati Uniti grazie alle dietiste Evelyn Tribole e Elyse Resh, di seguito trovate alcuni punti fondamentali:

  • è uno strumento clinico scientifico all’interno del paradigma HAES (Health at every size) che ha l’obiettivo di promuovere benessere autodeterminato

  • ha l’obiettivo di accompagnare la persona a scoprire un diverso modo di rapportarci al cibo e all’alimentazione, modalità che è già in noi innata,  ma che diventa difficile da riscoprire e mettere in pratica a causa  della cultura della dieta e dai giudizi e pregiudizi causati dalla grassofobia

  • è un processo, non un protocollo, che si svolge lungo 10 principi: per questo non ha un numero pre determinato di incontri o materiale pre costituito, questo lo rende estremamente flessibile ma deve essere ben interiorizzato dalla persona che lo guida (psicologo, Terp, dietista, nutrizionista…)

  • è adatto a tutte le persone che hanno una buona consapevolezza di sé  e risorse ambientali adeguate

Vi lascio qui il link delle migliori esperte in Italia di questo strumento, grazie a loro mi sono formata e riesco a declinare questo paradigma sui più piccoli. Il progetto si chiama Malasalute?  ed è stato pensato e progettato da 3 professioniste: Veronica Bignetti (dietista), Alessia Buzzi (psicologa) e Francesca Tamponi (Terp) qui trovi tutti i dettagli e i loro corsi

Questo percorso è nato inizialmente per adulti che per anni hanno cercato attraverso le diete di regolare il loro peso e modificare la loro forma corporea, attraverso studi scientifici e osservazione della realtà, Tribole e Resch, iniziano a capire che c’è la necessità di un cambiamento fondamentale per il benessere delle persone. A fine di questo articolo troverete alcuni link utili per comprendere meglio da dove è iniziato tutto.

ma quindi perchè ne parliamo per bambini e alle bambine?!

Perchè parlare e mettere in pratica IE significa creare una dinamica relazione fra istinto, pensieri ed emozioni.

ISTINTO: ogni persona nasce con il senso di fame e di sazietà, si piange per chiedere cibo e si dorme quando si è sazi, non controlliamo il tempo o il cibo, chiediamo quando abbiamo fame. Il nostro cervello ha già al suo interno sistemi di messaggi neurochimici che determinano la fame e la sazietà. Questo non cambia ma viene “assopito” dalle regole rigide della società e della cultura della dieta.

PENSIERI: influenzano il nostro modo di approcciarci al cibo, di pensare agli alimenti e di vedere il nostro corpo. I pensieri vengono anche influenzati da idee della società, come la cultura della dieta, dai giudizi e commenti delle altre persone e da ciò che vediamo e sentiamo fra Tv, social, pubblicità…

EMOZIONI: le emozioni sono parte integrante delle esperienze umane e proprio per questo sono parte fondamentale anche dell’Intuitive Eating. Includono come ci si sente quando si mangia, come le emozioni influenzano il desiderio di mangiare o di non mangiare. Questo vale anche per i bambinǝ che possono trovare nel cibo un modo per stare meglio se provano emozioni spiacevoli, o un modo per passare il tempo se sono annoiati…ma attenzione, questo capita a tutti noi! Possiamo voler mangiare patatine quando siamo annoiati, o un dolce quando siamo felici, possiamo non sentire fame quando siamo tristi o mangiare meno del solito quando siamo annoiati o arrabbiati… non è sbagliato, semplicemente così funzioniamo in modo naturale.

perchè quindi parlare di Intuitive Eating già da piccoli? 

Iniziare a parlare e a avvicinarsi all’Intuitive Eating sin da piccoli significa promuovere fattori di prevenzione in termini di salute mentale: si parla di diversità di corpi, e di prevenzione rispetto alla possibilità di  sviluppare disturbi dell’alimentazione.

La salute mentale comprende sia gli aspetti legati al corpo che alla mente, aiutare sin da piccoli ad avere un buon rapporto con il proprio corpo e cercando di togliere, o non apprendere affatto, tutti gli aspetti legati alla cultura della dieta; di seguito puoi leggere cosa si intende con “cultura della dieta” in questo articolo della dottoressa Alessia Buzzi, psicologa, identikit della cultura della dieta

Molte cose impattano sulla salute mentale:

  • cercare di cambiare la forma del proprio corpo;
  • iniziare diete, specie se in giovane età, qui trovate un approfondimento della dottoressa Arianna Rossoni non mettere i bambini a dieta
  • sentirsi in colpa per il proprio corpo;
  • legare il cibo ad emozioni di vergogna;
  • distinguere i cibi in “buoni” e “cattivi”;
  • usare i cibi come premio o come punizione.
cosa pensano gli adulti rispetto ai bambini e al cibo

Spesso il primo pensiero è quello che i piccoli debbano essere guidati a gestire il cibo perchè è un elemento che non possano controllare, invece nasciamo capaci di gestire la nostra fame e sazietà, nasciamo tutti intuitive eater! Con il tempo iniziano  le routine, gli orari, occorre avere fame in certi momenti e occorre sapere “non mangiare” in certi momenti, pensate alla scuola dell’infanzia a come il cibo sia legato a determinate routine e non sia possibile mangiare in momenti diversi, questo diminuisce il nostro contatto con il senso di fame e sazietà.


Ma ancora di più spesso si pensa che un certo peso, una certa forma del corpo o un certo corpo, possano dimostrare di essere più in salute; questo ha a che fare con l’immagine corporea, ne puoi leggere meglio qui aiutare bambini e ragazzi ad avere un’immagine corporea positiva . Tutti i corpi possono essere in salute, i corpi dei bambini cambiano moltissimo in pochissimo tempo, ma penso si è portati a pensare che un bambinǝ grassǝ sarà un adulto grassǝ e che questo non sia sano. Il termine salute però comprende non solo la forma del corpo ma anche il contesto ambientale, sociale, la parte genetica, l’alimentazione in senso ampio, lo stile di vita, eventi traumatici…

Quindi da dove partiamo come adulti… e come professionisti?

Come professionisti siamo anche adulti e quindi il punto di partenza è il medesimo che possiamo distinguere in 3 punti importanti:

  1. essere vicino ai bambini e supportarli nella loro crescita come persona
  2. essere flessibili nelle routine dei pasti e nelle idee legate al cibo
  3. essere noi per primi intuitive eater e mettere in discussione la cultura della dieta, gli aspetti grassofobici . Per fare questo puoi iscriverti qui alla newsletter e al nuovo corso in partenza c’era una forma un progetto per parlare discopri di bambini e ragazzi

Iniziare un percorso di intuitive eating significa accompagnare prima di tutto le famiglie nel seguire i principi di questo paradigma, comprendere quali sono le frasi  da dire o da evitare in casa, il proprio rapporto con il cibo da adulti, occorre partire dagli adulti. È possibile anche condividere queste idee e modalità con educatori ed insegnanti che si occupano dei pasti a scuola. Successivamente si può lavorare assieme a bambini e bambine sulle loro emozioni e sulla loro immagine corporea, qui puoi trovare il cosa consiste questo servizio richiesta info immagine corporea 

Lavorare con intuitive eating significa prevenire, significa creare un buon rapporto con il cibo e con il proprio corpo, è un percorso completo, che si fa insieme in cui la persona viene vista nel suo complesso, viene ascoltata tenendo conto di emozioni, relazioni, ambiente, corpo, sensazioni e desideri personali e nei bambini è un ottimo punto di partenza per prevenire disturbi mentali e aumentare la capacità di osservare con uno sguardo nuovo il mondo in cui ci troviamo.

Every body

link di approfondimento

approccio HAES

 

 

Mappe delle mie emozioni

e perchè esplorare le emozioni è il modo migliore per conoscerle…

Le emozioni non si insegnano, si vivono, si affrontano, si scoprono, si parlano, si esplorano. Per questo motivo uno dei miei albi preferiti per parlare di emozioni è questo: “La mappa delle mie emozioni” di Bimba Landmann edito da Camelozampa  puoi trovarlo qui! 

Questo albo è un ottimo esempio di come le emozioni siano sfumature in cui le terre esplorate diventino così simili e così diverse. Abbiamo la terra della speranza in cui troviamo la “strada che guarda lontano” e il “piccolo lago delle idee”. Una terra in cui ritroviamo immagini e parole che spesso vengono utilizzate quando si parla di psicoeducazione alle emozioni, parole che bambini e ragazzi riportano spesso nelle loro narrazioni, ma che altrettanto spesso vengono poco ascoltate e giudicate come parole da sognatori. Quasi che quelle parole non fossero reali emozioni.

Le terre della paura, sono tinte di giallo e raccolgono il batticuore, il terrore, il castello pallido e la strada senza via d’uscita. Quante di queste parole vengono usate da bambini e ragazzi quando parlano delle  loro paure: paure del futuro, della scuola, nelle relazioni. L’immagine delle terre in cui viaggiare ci permette di aprire un punto importante delle emozioni e della psicoeducazione: non esiste una scala gerarchica che va in un’unica direzione, ma c’è una esplorazione che ci permette di conoscere e sperimentare gradi diversi in momenti diversi, delle nostre emozioni.

Questo albo racconta mille storie diverse, racconta storie lunghissime in cui  il disgusto diventa inaccettabile, e storie di pochi secondi in cui il Mare Esultanza, diventa l’unico orizzonte che abbiamo.

Questo albo può essere una mappa preziosa per iniziare un percorso di psicoeducazione emotiva; uno strumento in cui rispecchiarsi o da cui prendere parole nuove, un disegno in cui rispecchiarsi, ma anche una partenza per scrivere la propria mappa delle emozioni.

Spesso mostro queste immagini a bambini e ragazzi dicendo loro “da che punto della mappa vorresti partire?” e già da questa scelta mi accorgo cosa preme di più a loro, in quel momento e, cosa vogliono evitare.

Certo non basta un libro e poche chiacchiere, oltre al primo passaggio ci vuole conoscenza e professionalità, occorre un professionista che conosce queste terre, che le ha esplorate a sua volta e che riesca a guidare i nuovi esploratori spesso spaventati o incuriositi.

quando si possono esplorare le emozioni, e quando è necessario farlo

In ogni momento è possibile fare un intervento psicoeducativo mirato, ma ci sono momenti in cui è più importante, momenti in cui è fondamentale.

Pensiamo a un bambino o una bambina che fatica a stare con i compagnǝ perchè si sente spaventata o non compresa, sarà importante capire e dare le giuste parole a quella sensazione. Altri potrebbero avere difficoltà nel rapporto con il loro corpo, ma se non riescono a trovare la giusta descrizione per quello che sentono e  rischiano di trovare, come unica strategia, comportamenti negativi che possono peggiorare il loro benessere mentale e anche fisico.

Se unǝ bambinǝ o unǝ  ragazzǝ faticano a restare attenti, ma non conoscono cosa sia e che nome abbia quella sensazione che li prende ogni volta che a scuola vengono rimproverati per questo, non potranno migliorare le loro capacità attentive, perchè non riusciranno a condividere ciò che sentono e a cosa è collegato.   

Per questi e molti altri motivi ho scelto di parlare di psicoeducazione emotiva in un webinar che potete trovare  a questa pagina. 

Esplorare assieme a bambini ragazzi le emozioni è un viaggio entusiasmante ma anche delicato, per questo non possiamo lasciare nulla al caso.

Un ragazzo è quasi niente: i ragazzi che di solito gli adulti non vedono

Romeo: un ragazzo che non corrisponde a ciò che la società si aspetta da lui

Romeo è un ragazzo che ama la musica degli anni ’70, che preferisce il silenzio del negozio dello zio alle feste con i coetanei. Romeo inizia la sua storia in ospedale, e poi ci racconta in versi cosa e chi lo ha portato in quel luogo così estremamente bianco.

Romeo non è un ragazzo arrabbiato, non esprime la sua rabbia con parolacce, non ricerca esperienze forti, cerca la vera amicizia ma è circondato dal gruppo. Da un gruppo che non lo accetta per ciò che è, perchè accettarlo vorrebbe dire vederlo. Romeo vive in una famiglia che sembra “normale”, una famiglia che lo vede come una persona sfumata ma senza sfumature.

Romeo conosce Justine e  con lei si sente libero di essere  se stesso e non quello che gli viene richiesto perchè un ragazzo, maschio nella nostra società non può essere come lui si sente.

 

Leggere in versi, come una canzone

La storia di Romeo ci viene raccontata usando una scrittura in versi, una specie di canzone o di  messaggi. Questo tipo di scrittura rende il ritmo della narrazione ritmato e riesce ad esprimere con poche parole concetti complessi, emozioni contrastanti anche quando si tratta di descrivere un atto di cyber bullismo che Justine subisce.  

perchè leggere questo libro

Questo romanzo parla a tutti i ragazzi e alle ragazze che non si ritrovano nelle storie estreme, che hanno bisogno di un racconto delicato in cui ritrovare le proprie sfumature. Un racconto in cui Romeo rappresenta i ragazzi che parlano poco, che cercano di stare  con poche persone che li fanno sentire bene, ragazzi che a volte si trovano in situazioni estreme,  ci si trovano per caso, perché aiutano altri  o perchè le cose delle vita si susseguono in modo inaspettato.

Per gli adulti, è un romanzo che apre gli occhi sui ragazzi che stanno  in disparte, quelli silenziosi, quelli che sembrano niente, quelli che ci dimentichiamo e che invece hanno bisogno di noi. Romeo aveva bisogno che i suoi genitori parlassero con lui, che raccontassero la loro storia. Romeo aveva bisogno di amici che lo ascoltassero e non lo giudicassero, Romeo non è molto intelligente, non è molto bello, non è molto talentoso… ma è molto sensibile, una sensibilità che lo rende quasi niente.  

quando il modo è più importante del contenuto

A volte per parlare di adolescenza pensiamo che il tema centrale del racconto sia la cosa più importante, che sia quello che rende un racconto importante, invece a volte il modo con cui la scrittura esprime emozioni ed azioni, fa la differenza del libro, della storia.

Come i libri vengono scritti esprimono le emozioni che i personaggi condividono con il lettore; non abbiamo bisogno di avere storie sempre estreme che parlano di adolescenza, abbiamo bisogno di conoscere la realtà di tutte le adolescenze.

Buona lettura

Parlare di corpi significa vederli

“Love your body” di Jessica Sanders e illustrato da Carol Rossetti

Quando si sente dire o si legge che parlare di corpi è un fattore culturale, spesso si pensa che sia un modo di dire, un pregiudizio, e invece è reale. Quando vi parlo di libri che parlano di corpi, di illustrazioni in cui vengano mostrati corpi diversi, devo sempre mostrarvi libri stranieri. Cerchiamo di non vedere l’aspetto linguistico come un ostacolo, ma iniziamo a guardare questo albo…

introduzione: inclusività già dall’inizio

Nelle note dell’autore troviamo già un’attenzione incredibile (mia traduzione personale):

“Questo libro è stato scritto per le ragazze e per chi si identifica come una ragazza. In ogni modo, il linguaggio che ho usato non è legato al genere ed è universale. Gli effetti di un’immagine corporea negativa, riguarda tutti, non riguarda un solo genere, etnia o orientamento sessuale”

Questa introduzione ci rimanda ai principi di uguaglianza, di inclusività e di ascolto rispetto alla persona che abbiamo davanti. Nelle prime pagine dell’albo trovate immagini di tanti corpi diversi, tutte che mostrano il loro corpo per quello che è: un corpo. Un corpo da accettare, un corpo che è in uno spazio.

il corpo e lo spazio

Spesso parliamo di cambiamenti del proprio corpo, di un corpo che cresce ma mai di un corpo che occupa spazio. In questo albo troviamo proprio la parola “spazio”.

Il tuo corpo cambierà internamente ed esternamente. Il tuo corpo diventare più grande, e questo significa che prenderà più spazio, e questo va bene!

Parlare di spazio è importante perché è una sensazione reale, concreta e costante. Quando ci sediamo sentiamo il nostro corpo occupare la sedia, quando camminano per una via affollata sentiamo il nostro corpo occupare uno spazio, prendere contro ad altri corpi, quando non troviamo un posto per sederci, vediamo lo spazio che manca o cerchiamo di capire se in uno spazio ristretto il nostro corpo può sedersi.

Nei disturbi del comportamento alimentare, uno degli aspetti rilevanti legati all’immagine corporea è proprio quello della percezione tattile legata alla percezione del corpo propello spazio. Da una parte c’è una componete percettiva significativa, dall’altro c’è l’idea costante che occupare spazio sia un male. Che occupare spazio sia un problema, anche perchè spesso non tutti gli spazi sono adatti a tutti i tipi di corpi. In questo contesto parlare di spazio significa fare prevenzione e legittimare ogni corpo ad occupare il proprio spazio.

Qui un articolo scientifico a riguardo: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0165178111003623

cosa posso fare..non solo ciò che vedo

In molte pagine viene mostrato quello che può fare un corpo: abbracciare, ascoltare la musica, fare sport, annusare, leggere… tutte cose che il nostro corpo fa indipendentemente dalla sua forma e dimensione.

C’è un ampio spazio dedicato anche a gesti, pratiche, pensieri che possono aiutare ad aver un approccio di gratitudine verso il proprio corpo.

Ringraziare e non giudicare

Ringraziare il proprio corpo e non usare parole giudicanti è un aspetto importantissimo di prevenzione. Il modo in cui dialoghiamo internamente con il nostro corpo forma i nostri pensieri e le nostre emozioni e sensazioni. Avere libri che possono dare aiuti concreti sulle parole, sulle azioni e sui comportamenti possibili da utilizzare è uno strumento di grande importanza… e capace di cambiare la vita di bambini e bambine.

ciò di cui il mio corpo ha bisogno

Nell’albo c’è ampio spazio anche per l’idea del riposo, del sentire i propri bisogni, sentire il proprio corpo e dare al proprio corpo il tempo del riposo. Quanto è importante nella nostra società performativa, dire che il nostro corpo ha bisogno di riposo, di fare attività piacevoli, di essere ascoltato.

Anche questo aspetto è un importante aspetto di prevenzione: nessun perfezionismo ma tanto ascolto e la possibilità di scegliere di fermarsi. Questo aspetto spesso viene sottovalutato, si pensa che bambinǝ e ragazzǝ non siano mai stanchǝ, invece dare loro il tempo di capire ciò che il corpo chiede è un aspetto di estrema importanza, anche per imparare ad ascoltarsi aiuta ad avere pensieri gentili ed evita i pensieri estremi.

chiedere aiuto..anche prima che serva

L’importanza di chiedere aiuto anche prima che ci siano segni visibili che possano essere definiti sintomi (manifestazione di un disagio o di una malattia), chiedere aiuto per comprendere le modalità e strategie che si mettono in atto quando si pensa il proprio corpo, Capire quali sono gli aspetti sociali che influiscono sulle nostre idee e percezioni.

Tutto questo è prevenzione.

Trovi molti articoli a riguardo qui https://www.serenaneri.it/category/prevenzione/

nessuna pianura, solo montagne

Alla fine il libro non ci propone false realtà, aspettative non realistiche, ma ci propone una montagna. Come in montagna la visione e percezione del nostro corpo cambia: può essere faticosa, può essere soddisfacente, può essere stabile e piatta o cambiare rapidamente. Può darci le vertigini e farci soffrire, o può permetterci di riposare… tutto questo è normale.

Spiegare la normalità di questi alti e bassi, previene che ci si spaventi nel viverli, previene che ci si senta impreparati quando si sentono.

Parleremo di questo albo, di altri albi illustrati e di corpi nel progetto

“C’era una forma… come parlare di corpi a bambinǝ e ragazzǝ” trovate il dettaglio qui https://www.serenaneri.it/cera-una-forma-una-newsletter-per-parlare-di-corpi-con-bambini-e-ragazzi/

“Dentro me cosa c’è?” perché è importante che bambini e ragazzi conoscano chi sono

Dentro me cosa c’è? edito da Terre Di Mezzo

Tutte le persone in momenti diversi della vita si fanno questa domanda: dentro me cosa c’è? E’ una domanda che contiene il senso della persona, l’esigenza di conoscersi, il capire chi si è e cosa sta dentro la nostra mente e dentro il nostro corpo. Quindi chiediamoci “Dentro me cosa c’è?” e perchè è importante che bambini e ragazzi conoscano chi sono.

le emozioni

Partiamo da loro: le emozioni. Sulle emozioni si è detto moltissimo, ci sono tantissimi libri, corsi di formazione, film… ma spesso non ci si ferma ad ascoltarle. Guardate questa illustrazione ci sono molte emozioni al suo interno, c’è il nero, il colore, l’illustrazione, il buio (cosa vedo), il mal di pancia (cosa sento), l’emozione (le farfalle nello stomaco). Dividere e allo stesso tempo, unire, ciò che si prova quando si sente un’emozione è un processo difficile che richiede tempo, richiede allenamento ma è fondamentale per sapere cosa si prova.

Abituare i bambini, che saranno poi ragazzi, a fermarsi a sentire ciò che c’è dentro di loro, è uno degli aspetti fondamentali per sapere nel modo più preciso possibile, cosa provo in quella situazione e quindi come posso reagire. Questo aspetto diventa quindi un fattore protettivo ( trovi un approfondimento qui https://www.serenaneri.it/pregiudizi-sulla-salute-mentale/ ).

I pensieri

Spesso questo è l’aspetto più difficile per i bambini e le bambine, dare voce ai propri pensieri. Per farlo abbiamo bisogno come prima di fermarci, di ascoltare “nel cervello molti perchè” . La capacità di comprendere i propri pensieri, è un fattore protettivo in quanto permette alla persona di sentire come propri i pensieri che sente e questo dà la capacità di poterli anticipare (cosa penso in questa situazione), ma anche di pensare a ciò che potrebbe accadere dopo ( cosa potrei pensare in questa situazione). Avere la capacità di sentire e dare voce ai propri pensieri, è un enorme fattore protettivo perchè permette la possibilità di utilizzare il problem solving, la flessibilità cognitiva, la comprensione dei pensieri dell’altro.

Forse ci capita spesso di chiedere ai bambini cosa hanno fatto, ma poco di chiedere “cosa hai pensato in quel momento?”… questo potrebbe già essere un ottimo inizio.

io sono anche il mio corpo

Tendiamo a essere molto attenti al benessere fisico dei bambini, li guardiamo, li osserviamo, vediamo se crescono in modo adeguato, chiediamo al medico se tutto va bene… poi cambia il nostro sguardo. I corpi diventano qualcosa da giudicare, da osservare perchè non diventi qualcosa di “diverso” da ciò che dovrebbe essere. Il corpo diventa un accessorio proprio nel momento in cui il corpo viene giudicato a livello sociale, viene vissuto come faticoso e pieni di cambiamenti.

“Dentro me cosa c’è?” descrive anche un corpo, uno stomaco, una pettinatura… e tutto questo arricchisce la domanda iniziale e pone la domanda esistenziale del “sono io?” . Sono io quel corpo che cambia, quel taglio di capelli, quel vestito che mi sta in quel modo, questi piedi che crescono, questo viso che cambia…

Il corpo fa parte del nostro modo di conoscere noi stessi e ciò che ci sta attorno, ma se considero il corpo solo come qualcosa da giudicare, da riempire o da svuotare, come posso riconoscerlo strumento di conoscenza fondamentale per la mia persona?

Iniziamo a mostrare e descrivere come il nostro corpo ci aiuta nelle azioni quotidiane , anzi sia fondamentale indipendentemente dall’essere magro o grasso, lungo o corto, con o senza una disabilità, ma iniziare a descrivere il proprio corpo senza giudizio.

noi siamo tante cose…non cerchiamo di semplificarlo!

Spesso cerchiamo di incasellare i bambini e i ragazzi in poche parole o in poche azioni, dimenticandoci che tutti noi siamo tante cose insieme, che sono i momenti diversi che ci caratterizzano e che oltre alle etichette, siamo anche una serie di scelte, di passioni, di valori, sin da piccoli.

Abituare alla complessità, all’esperienza delle molteplici risposte, aiuta a comprendere che ci possono essere varie soluzioni, che ci possono essere più comportamenti adeguati in un solo contesto. Permette di fondere senza giudizio più emozioni diverse, più pensieri diversi a volte anche contrapposte fra loro.

Unǝ bambinǝ può provare estrema gioia a casa ed estrema tristezza in un altro contesto, è sempre lǝ stessǝ bambinǝ ma, non dobbiamo pensarlo solo come felice o triste; è un insieme di tutte queste emozioni e sensazioni.

Dentro me cosa c’è?… un’infinità di cose, questo albo illustrato ci permette proprio di comprenderle tutte. Buona esplorazione di complessità a tuttiǝ voi!

per saperne di più

Per capire ancora meglio cosa si intende per fattori protettivi puoi leggere questo articolo dell’UNICEF https://www.unicef.it/diritti-bambini-italia/salute/salute-mentale/

Ella sulle onde: la storia di un viaggio da affrontare

Ella sulle onde” è un albo illustrato che racconta la storia di un viaggio da affrontare. Ella parte su una piccola barca, che diventa la storia per ritrovare la felicità, la storia che parte da una notte buia, un momento triste, e da lì la necessità di cercarsi.

Spesso la metafora del viaggio viene usata in psicologia proprio perchè legata alla fasi in cui un viaggio si vive: partenza, percorso e arrivo. In questo albo sono tutte presenti e penso che ognuno di noi possa trovare la sua parte di viaggio. Iniziamo.

partenza

Ella si trova in un luogo privo di luce, è da sola seduta su una piccola nave e ha paura. Penso a tutti i bambine e le bambine, le ragazze e i ragazzi, le famiglie che vedo per lavoro e che spesso si sentono soli, abbandonati e brancolano nel buio per capire dove trovare le risposte che cercano. In questi momenti non c’è il dinamismo che spesso si associa al viaggio, ma c’è la staticità, il sentirsi immobile. La partenza non sempre viene da una spinta, a volte nasce proprio dal vedersi fermi.

Vedo che non mi sento meglio, vedo che a scuola non miglioro, vedo che non mi sento tranquillǝ, vedo che non stanno cambiando le mie relazioni, vedo che gli altri si muovono e io sono fermǝ.

percorso

Ella viene invitata a partire da un uccello bianco, o meglio a continuare il suo viaggio. Questo personaggio la accompagna, non la costringe, non la tira, non la tiene per mano, ma accompagna da lontano.

Penso a quante volte le persone, i bambini e le bambine, si trovino in una situazione di paura, di solitudine, in momenti dolorosi della loro vita o semplicemente in momenti in cui tutto sembra fermo. A volte è sufficiente trovare qualcuno che ci accompagna dall’alto, che segue i nostri passi dalla giusta distanza: può essere un insegnante, un amico, un terapista…e su questo mi soffermo un attimo.

creative photo of person holding glass mason jar under a starry sky
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Occuparsi di salute mentale non significa mai e poi mai sostituirsi. Non significa dire le cose più comode da fare o dire quello che fa piacere. Occuparsi di salute mentale significa mantenere la giusta distanza per mostrare nuove strade e nuove prospettive. Il buio non si scaccia all’improvviso con una luce accecante, si fa strada con un piccolo lumino, non dobbiamo spaventare, ma dare la giusta intensità di luce al cammino che proponiamo.

Nella pratica non possiamo solo soffermarci sul risultato finale che vorremmo ottenere (migliorare l’attenzione, essere più felici, migliorare l’apprendimento scolastico…), ma dobbiamo partire da come ci si sente ora, dalle abilità che possiamo usare da subito, e da lì sviluppare…il nostro viaggio.

una balena lungo il percorso
Ella sulle onde la storia di un viaggio da affrontare

Verso la metà del viaggio, Ella è sconsolata, qualcuno l’ha aiutata ad andare avanti, altri invece l’hanno ostacolata, ma poi incontra una balena. Meglio, la balena va verso il cammino di Ella. Durante il percorso c’è la casualità, ma spesso c’è anche l’intenzione di aiutare.

L’intenzione nell’aiuto deve essere sempre da entrambe le parti: chi aiuta e chi viene aiutato. Balena spiega come può aiutare Ella, ed Ella si fida e si lascia aiutare.

Quando si inizia un percorso terapeutico o di riabilitazione, la prima parte, la più importante, è quella di definire gli obiettivi, spiegare in cosa consiste il nostro aiuto. Balena però può essere anche una persona che porta la sua esperienza “di chi ha navigato per tanto tempo nell’oceano”, e la sua esperienza, è diversa da quella di Ella ma ne conosce più sfumature, ne riporta una storia. Ella trova in balena, un aiuto che non solo la sostiene, ma che la fa sentire compresa. Ciò non significa che un professionista per la salute mentale debba passare tutte le difficoltà dell’altro, ma che deve conoscere le proprie emozioni, le proprie fatiche ed i propri limiti (diffidate sempre da chi si occupa di tutto! come si fa a solcare l’oceano e a comprendere anche le montagne?).

arrivo
Ella sulle onde la storia di un viaggio da affrontare

Ella durante il percorso incontra personaggi ed emozioni spaventose. Ella resta seduta sulla sua barchetta in preda alle onde fino a quando non scorge l’arrivo. Un luogo con tante persone che stavano navigando come lei. Di persone che erano a fianco a lei sulle proprie barchette per arrivare sull’isola in cui si trovano tutti ora.

Non sappiamo se questa isoletta si l’arrivo, o solo un primo arrivo…o forse il secondo o il terzo.

Il viaggio per comprendersi, per raggiungere un obiettivo personale, per sentirsi meno affaticati, può avere moltissime tappe, moltissimi arrivi. La cosa principale è ricordare ogni parte del viaggio, ricordare la disperazione del buio, il sollievo dell’aiuto, il dubbio davanti alle onde potenti, la luce che di rende più chiaro il percorso.

La cosa principale di ogni viaggio è davvero il viaggio stesso.

Questo albo illustrato non toglie niente, non rende tutto bello, mostra le difficoltà e i momenti di delusione. Ogni volta che intraprendiamo un percorso per la salute mentale dobbiamo dire anche queste parti: la fatica del cambiamento, le cose che potrebbero cambiare durante il percorso, le eventuali ricadute causate da eventi o persone specifiche. Questi si chiamano fattori precipitanti, come quelliche fanno precipitare le persone dalle navi…ma ci sono anche i fattori protettivi, come la balena che ci sostiene mentre stiamo per cadere.

Ecco penso che questo albo sia meraviglioso per illustrare un nuovo viaggio per la salute mentale da effettuare insieme.

Approfondimenti

https://www.stateofmind.it/2019/09/viaggio-psicologia/

https://www.terre.it/prodotto/ella-sulle-onde/

Perché parlare di fiducia in sé stessi “self confidence” e non di autostima

Pixabay

Il termine autostima è sempre fra le parole più usate, e abusate, quando una persona non si percepisce “abbastanza bravǝ” per fare qualcosa. Si parla di percorsi per “aumentare l’autostima”, corsi per “insegnare l’autostima”, ma siamo davvero sicuri che sia il percorso giusto per farlo? Siamo sicuri che per aiutare unǝ bambinǝ o unǝ ragazziǝ abbiamo bisogno di aumentare un valore numerico che lui o lei vuole darsi? Ecco io vorrei iniziare a parlare di : fiducia in sé stessi.

la fiducia in sé stessi non si insegna ma si sperimenta

Primo punto fondamentale: non si insegna in 10 sedute l’autostima; “è infatti difficile accrescere l’autostima di un individuo, poiché è stato dimostrato come essa è altamente resistente al cambiamento” (Swann, 1996). Quindi capite che se è resistente al cambiamento, allora non la posso “insegnare”, non si modifica con alcuni esercizi creati in modo specifico a tavolino.

Il concetto di “autostima” è un concetto multidimensionale, contiene la stima che ho di me e del mio corpo, di me nella mia famiglia, di me con i miei pari, di me nella mia vita scolastica o professionale. Questa particolarità sottende quanto si formi sin da bambini questo concetto…concetto però che è altamente giudicante. Pensate a unǝ bambinǝ che impara un nuovo gioco, sarà felice e si dirà che è un ottimǝ giocatore o giocatrice, che è migliore degli altri… questo però metterà gli altri in una situazione di inferiorità agli occhi del bambinǝ. Pensate se lo stessǝ bambinǝ un giorno perdesse allo stesso gioco, non sarà solo sfortuna o qualche errore commesso che ha stabilito il risultato… sarà la persona stessa a perdere il proprio valore e a valutarsi in modo negativo.

“Ti cerco ti trovo” ed. Camelozampa

Il concetto di autostima in questo modo intacca l’individualità della persona, fa sì che la persona stessa dia una “stima” numerica a ciò che fa e quello che fa, diventa quello che è. La persona diventa un giudizio, la persona diventa un numero da incasellare e perde il suo valore di complessità. Proprio per questo penso che il termine autostima, sia da sostituire, perchè al suo interno nasconde giudizi negativi verso di sé, e la minima possibilità di cambiamento.

alcune ricerche

Secondo le ricerche le situazioni in cui la ricerca di validazione di sé dipende da conferme altrui hanno costi personali particolarmente alti (Crocker, 2002; Pyszczynski, Greenberg e Goldenberg, 2002); in età adulta, l’autostima è costituita prevalentemente da giudizi e confronti con l’esterno (Coopersmith, 1967; Harter, 1999). L’autostima si basa moltissimo sul giudizio degli altri, su come mi vedono, sul giudizio che mi danno, sulle caratteristiche che gli altri vedono in me (Cooley, 1902, 1956; Mead, 1934). Il confronto sociale è quindi fattore determinante aggiuntivo nell’autostima (Aspinwall e Taylor, 1993; Beach e Tesser, 1995; Buunk, 1998; Deci e Ryan, 1995; Suls e Wills, 1991). Insomma oltre ai giudizi individuai che costruisco personalmente nell’arco di vita, si aggiungono anche tutti i giudizi sociali per cui sappiamo che spesso creano pregiudizi che se interiorizzati, diventano un freno per la persona e possono poi diventare stigmatizzanti ( ne avevo parlato qui https://www.serenaneri.it/pregiudizi-sulla-salute-mentale/).

Con questo primo punto per cui si sperimenta ogni giorno la crescita personale, penso davvero sia necessario parlare di fiducia in sé stessi “self confidence” e non di autostima

parlare di fiducia in sé stessi “self confidence” e non di autostima

Se parliamo di fiducia in sé stessi intendiamo sempre un costrutto formato da più aspetti, ma leggete la differenza fra prima (quanto sono bravo nel gioco, quanto valgo come studentǝ, …) e ora:

Quanta fiducia ho delle mie emozioni? Riesco a riconferme e gestirle? Quanta fiducia ho nelle mie abilità? Penso di riuscire a superare un errore, qualcosa che non va come pensavo? Ho fiducia nella mia capacità di risolvere i problemi che incontro ogni giorno?

La self confidence, è molto di più del termine autostima, è un ragionamento attivo, è metacognitivo (devo pensare al modo in cui io affronto le cose ogni giorno), è un processo che non dà una stima numerica, ma aiuta nel crearsi un dialogo interno attivo, positivo e non giudicante!

nella pratica…
parlare di fiducia in sé stessi “self confidence” e non di autostima
  • Riconosci e sottolinea i tuoi punti di forza.
  • Premiati e lodati per i tuoi sforzi e progressi, durante tutto il percorso, non solo per il tuo risultato finale!
  • Quando fai un errore, tratta te stessǝ con gentilezza, non soffermarti solo sul fallimento.
  • Stabilisci obiettivi realistici e raggiungibili. Non aspettarti la perfezione; è impossibile essere perfetti in ogni aspetto della vita.
  • Pensa alle tue capacità prima di iniziare un qualsiasi compito.
  • Esprimi i tuoi sentimenti e bisogni

Pensate se fin da bambinǝ riuscissimo a capire di rivolgerci a noi stessiǝ in modo gentile (non dire “sei stupidǝ” ma “questa volta non ho fatto un buon compito, la prossima volta farò più attenzione durante lo studio”), se iniziassimo a dire ai bambinǝ non solo bravǝ per il risultato finale, ma per il processo che lo ha condotto lì (hai avuto pazienza quando il colore non andava, hai rispetto in modo gentile al compagno, hai fatto una pausa quando sentivi la rabbia crescere…). Si iniziassimo a prendere confidenza con i nostri limiti, con il fatto che va bene anche non sapere fare delle cose, va bene se non siamo i più bravǝ a correre o a leggere o a socializzare, sono dei limiti che posso voler modificare o accettare per quello che sono, perchè io resto io, anche se non faccio sport o se non ho i voti migliori.

Notate come tutte queste attenzioni rendono la fiducia in se stessi una chiave fondamentale per lo sviluppo della persona? Per questo è importante parlare di fiducia in sé stessi “self confidence” e non di autostima.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

“La self- compassion: il potere di essere gentili con se stessi” Kristin Neff

“Il self handicapping. Strategia di presentazione di sé” Mazzoleni, Pedroni

“The Self-Compassion Workbook for Teens: Mindfulness and Compassion Skills to Overcome Self-Criticism and Embrace Who You Are” di Karen Bluth e Kristin Neff 

https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/13576500444000317

https://journals.francoangeli.it/index.php/modelli-mente-oa/article/view/3442