“Mi vedete?”: un cortometraggio per parlare di depressione in adolescenza

“Mi vedete?” cortometraggio sulla depressione in adolescenza, presentato al Giffoni Innovation Hub

Parlare di depressione in adolescenza, porta al suo interno una serie di pregiudizi che vediamo tutti espressi in questo cortometraggio:

è solo un adolescente….non è depressa quindi non è pazza come tua madre…puoi fare qualcosa, smettila di comportarti così!” ciò che si tende a pensare spesso, quasi sempre, è l’idea che in adolescenza non si possa e non di debba essere depressi!

Questo dipende da alcuni retaggi storico sociali; dall’800 la depressione era dichiarata dai primi psicologi e psichiatri come uno stato di grande tristezza , specie nelle donne e la cui causa era legata a un trauma passato. Assieme a questa l’idea più poetica per cui la letteratura ci ha descritto autori e personaggi dei romanzi, depressi, ma sempre rigorosamente adulti e con traumi da superare.

Nel ‘900 la depressione inizia ad essere vista anche come un aspetto sociale, o meglio un derivato della società, in cui la parte economica la fa da padrone… e parliamo sempre e ancora una volta di adulti.

Tutti questi aspetti hanno permesso di interiorizzare l’idea errata che la depressione sia solo ed esclusivamente un disturbo degli adulti e che ha delle cause precise e condivise. Per cui “ti è permesso essere depresso se hai determinati motivi validi e condivisibili!”.

depressione in adolescenza

Questo cortometraggio spiega e mostra in modo evidente quanto invece, la depressione si un problema importante anche in adolescenza.

La depressione è un disturbo psichico in cui coesistono problemi biologici (calo di serotonina, dopamina e noradrenalina), personali e sociali (ambiente, livello di benessere economico, socialità…). Non sempre è reattivo, cioè causato da un evento principale come un trauma o un lutto, ma può essere causato da aspetti internalizzati come pensieri, idee ed emozioni svalutanti.

Osservare eventuali cambiamenti nei comportamenti dei ragazzi e delle ragazze, è già un primo punto di partenza per andare verso un cambiamento che permetta di sentirsi meglio.

Un errore comune è quello di pensare ai sintomi che vediamo, in ottica adulta, sminuendo di fatto la parte affettiva ed emotiva della persona. Ad esempio: “ma di cosa ti lamenti che hai tutto! Se sei depresso tu io cosa dovrei dire? Non ti manca niente! Se ti impegni vedrai che starai meglio!” . E sì, è molto probabile che tutti noi lo abbiamo detto o pensato almeno una volta nella nostra vita adulta.

non è l’eta che determina la sofferenza emotiva

Occorre mettersi nei panni dell’altro, percepire la sua sofferenza emotiva e non solo cercare oggettivamente un qualcosa a cui ricondurla, un vero e chiaro motivo che ti permetta di sentirti triste. Dobbiamo sentire la tristezza e non giustificarla. Siamo chiamati come adulti ad accogliere ciò che l ragazza o il ragazzo sente, prima che questa tristezza invada in modo totalizzante la vita di chi la subisce.

Nel cortometraggio possiamo vedere i genitori come figure opposte: la madre che nota e sente le difficoltà della figlia, e il padre che vorrebbe cancellare in modo rapido e veloce queste frivolezze adolescenziali…che sono però influenzate dalla presenza di una “nonna pazza”, che probabilmente è una donna che soffre di depressione. Questo ci riconduce agli stereotipi di cui avevo parlato qui https://www.serenaneri.it/la-vera-storia-della-strega-cattiva-pregiudizi-e-realta/

Entrambi si accorgono della sofferenza, quando la ragazza commette il gesto più visibile e concreto di tagliarsi e cercare di non sentire più il proprio dolore.

il dolore è reale, concreto, pesante e sembra invincibile

Questo è quello che ci porta a vedere il cortometraggio, la realtà del dolore, in cui ogni avvicinamento dell’altro sembra inutile. Un dolore che invade e pervade ogni aspetto della vita personale: scuola, famiglia, amicizie. Al termine del cortometraggio, la protagonista chiede di essere vista, lo chiede a nome di tutti gli altri e le altre adolescenti che soffrono e che spesso sentono sminuire il loro dolore. Hanno bisogno di essere ascoltati, accolti.

Ecco da cosa possiamo partire, tutti, non solo chi si occupa per lavoro di salute mentale. Come esistono sintomi visibili che possono farci capire che è in atto un infarto o un calo glicemico, abbiamo il dovere di conoscere anche i sintomi che possono rappresentare l’inizio di depressione in adolescenza. Conoscerli e vederli è il primo passo per poi poterci rivolgere a uno specialista.

Non occorre che tutti i sintomi siano tutti presenti, basta anche solo uno di questi per poter prevenire stati depressivi maggiori o gesti più estremi.

sintomi più comuni
  • Tristezza o disperazione
  • Irritabilità, rabbia, ostilità
  • Frequenti pianti
  • Distacco da amici e parenti
  • Perdita di interessi
  • Difficoltà a dormire, dorme di più o molto di meno, e cambiamenti nel comportamento alimentare (diminuzione o aumento dell’appetito)
  • Agitazione, difficoltà nel rimanere fermo, oppure al contrario rallentamento nei movimenti e nel pensiero ( più lento a rispondere, risolvere problemi quotidiani)
  • Senso di colpa, inutilità
  • Mancanza di entusiasmo e motivazione
  • Affaticamento, debolezza
  • Difficoltà di concentrazione
  • Pensieri di morte, idee suicidarie (l’idea della prevenzione è arrivare prima che questi emergano!)

In questo articolo de il Post, trovate alcuni suggerimenti anche in caso di idee suicidare https://www.ilpost.it/2018/06/10/cosa-fare-per-aiutare-persona-depressa-suicidio/

cosa sarebbe importante fare
Prevenzione

Sarebbe fondamentale sviluppare siti, applicazioni e canali social che possano aiutare i ragazzi a mettersi in contatto in modo rapido e immediato con professionisti in grado di aiutarli, linee di intervento capillari su tutto il paese, che possano dare prime indicazioni su come agire concretamente in caso di pensieri depressivi o pensieri estremi.

Per ora il Telefono Azzurro, resta la linea più presente e affidabile in caso si senta la necessità di parlare con qualcuno dei propri pensieri, puoi trovare qui tutte le informazioni https://azzurro.it/cosa-facciamo/

Il Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica (TeRP) in età evolutiva

Ogni volta che mi trovo a provare a descrivere la mia professione mi sembra sempre di usare parole molto difficili che non arrivano mai al punto centrale della situazione, cioè: spiegare la mia professione! Allora ci riprovo, sperando che questa volta la definizione sia chiara. Andiamo a conoscere chi è il il tecnico della riabilitazione psichiatrica in età evolutiva.

punto di partenza: chi è il tecnico della riabilitazione psichiatrica (teRP)

Partiamo dalle definizione più descrittiva, quella che potete trovare anche su internet: 

Il tecnico della riabilitazione psichiatrica è una professione sanitaria che si occupa di salute mentale nell’ambito della prevenzione, riabilitazione e ricerca. Lavoro durante tutto l’arco di vita occupandosi dei problemi legati alla salute mentale.”

Ecco ora arriviamo a uno dei problemi maggiori quando devo descrivere la professione, il nome stesso.

Tecnico: dal lat. technĭcus, gr. τεχνικός, der. di τέχνη «arte» (pl. m. -ci). – 1. agg. a. Relativo alle applicazioni e realizzazioni pratiche di un’arte, di una scienza o di una disciplina, di un’attività:  (Treccani). Ecco questo significato di possedere un’abilità unica e specifica grazie alla quale realizzo un’arte penso che calzi benissimo con il mio lavoro. Potreste chiedervi cosa centra l’arte, ma in effetti nel mio lavoro creo qualcosa con pochi strumenti: uso le parole per creare relazioni, attraverso le immagini creiamo storie, con i giochi creiamo nuove modalità di pensiero e strategie per imparare. È un arte molto difficile riuscire a creare relazioni che si prendono cura. I tecnici della riabilitazione psichiatrica imparano a farlo.

Riabilitazione: riconquistare abilità che si sono perdute a causa di una malattia o di un problema insorto nel corso della vita ( non vi metto la Treccani perchè dà una definizione lunghissima…). Interveniamo dopo che una malattia, o un disturbo, ha cambiato, tolto o peggiorato le abilità di una persona. Principalmente questi disturbi hanno a che fare con la sfera psichiatrica ( disturbi psicotici, dell’umore, disturbi del neurosviluppo in età evolutiva…). All’interno di questo aspetto rientrano anche aspetti abilitativi, cioè aiutare a raggiungere nuove abilità che non erano presenti in passato assieme ad aspetti preventivi, di cui vi avevo già parlato qui https://www.serenaneri.it/category/prevenzione/ .

Psichiatrica: che si occupa della psiche tenendo conto degli aspetti fisiologici ed anatomici. Ecco qui però mi sento di approfondire oltre l’etimologia della parola, di guardare il pregiudizio che sta al suo interno.

Il pregiudizio sul termine “psichiatrico”
il tecnico della riabilitazione psichiatrica in età evolutiva

Questo nome fa ancora molta paura, perchè il termine “psichiatrico”  porta con sé anni di paure legate ai malati mentali, pregiudizi sull’essere matto o matta, su strane equivalenze per cui se ti occupi di psichiatria hai a che fare con persone che perdono il controllo, persone che non trattengono i propri istinti più profondi.

Tutto questo si chiama pregiudizio e spesso causa stigma nelle persone che soffrono di disturbi psichiatrici, e uno degli obiettivi che si pone la nostra professione  è eliminare lo stigma legato alla malattia mentale avendo come obiettivo ultimo la salute mentale.

Ecco allora il mio lavoro, che si basa su teorie ed evidenze scientifiche, che ha a che fare con test standardizzati, (cioè i cui risultati ci dicono il modo in cui quella funzione o abilità è presente nella persona rispetto alla media generale). Lavoriamo anche con le parole, con la comunicazione, con le storie delle persone, con l’ascolto e con il tempo.

Il nostro lavoro come tecnici della riabilitazione psichiatrica, è estremamente pratico, osservativo e in cui la teoria si fonde con la pratica, in cui occorre agire dopo aver osservato e ascoltato. La pratica delinea la nostra professione in modo decisivo, soprattutto quando lavoriamo nel campo dell’età evolutiva che comprende bambini e ragazzi.

il Terp in età evolutiva: PERCHè LAVORARE CON BAMBINI E RAGAZZI?
il tecnico della riabilitazione psichiatrica in età evolutiva

Questa è la domanda che forse mi è stata fatta più spesso negli ultimi anni. Pare che la nostra figura professionale possa intervenire solo in contesti di gravità e in età adulta, e penso ci sia ancora molto da fare in termini di ricerca e lavoro rispetto alla consapevolezza che la salute mentale esiste sin da bambini.

Spesso si fa riferimento ad altre figure professionali per lavorare con e per i bambini e i ragazzi; ma ci sono aspetti strettamente legati alla salute mentale, per cui penso che, la figura del tecnico della riabilitazione psichiatrica sia fondamentale per questa parte della popolazione.

I bambini hanno il diritto di essere consapevoli che hanno una mente che crea pensieri, emozioni, sensazioni, e hanno il diritto di potere e saper gestire ciò che pensano e provano  nel modo migliore per loro e per le persone che gli stanno intorno.

Prendiamo ad esempio i disturbi del comportamento, uno degli ambiti di cui mi occupo prevalentemente. 

Occuparci dei disturbi del comportamento non significa solo estinguere i comportamenti problematici, ma prendersi cura di queste persone. Significa renderli consapevoli delle loro emozioni e dei comportamenti che mettono in atto quando si sentono in un determinato modo. Occorre anche fare prevenzione per evitare nuovi disturbi che potrebbero presentarsi in età adulta (dipendenze patologiche, disturbi dell’umore…).

Lavorare assieme ai bambini e ragazzi, ha come aspetto di importanza prevalente, quello di aumentare i fattori di protezione e quindi evitare fattori di rischio che possono incidere sull’adulto che diventerà.

Occuparci di disturbi dell’alimentazione non significa attendere un calo di peso visibile a tutti, ma valorizzare ogni corpo, dare l’opportunità ai ragazzi e alle ragazze di sperimentare ciò che provano e come vedono il loro corpo e i loro cambiamenti. Significa agire già da piccoli aiutando avere un buon rapporto con il cibo, essere consapevoli del proprio corpo.

come lavorare da terp in età evolutiva

Lavorare in età evolutiva significa specializzarsi in alcuni ambiti specifici. Spesso la laurea triennale non è sufficiente per poter lavorare con bambini e ragazzi. Occorre frequentare master, corsi di perfezionamento e corsi specifici sono parte integrante del nostro lavoro. Assieme alla preparazione specifica, è fondamentale l’osservazione sul campo grazie alla possibilità di tirocini in studi o strutture che si occupano di bambini e ragazzi.

Ma la curiosità personale, la voglia di studiare libri, manuali, partecipare a corsi specifici, deve essere un punto fondamentale della nostra professione.

La società cambia continuamente e questo incide sui nostri comportamenti, i nostri pensieri, e sulle difficoltà che possono vivere bambini e ragazzi (pensate ad esempio all’effetto del covid sulla salute mentale). Informarsi in modo continuo significa anche essere aggiornati su nuovi metodi di riabilitazione, approcci, modalità di intervento ed osservazione. Questo implica la ricerca continua di corsi validi, spulciare fra le librerie online e offline per trovare libri di valore, leggerli e studiarli e magari accorgersi che non è quello che ci aspettavamo.

Cambiare il proprio sguardo su ciò che il nostro mondo offre, pensate a quanto i libri, le serie tv, le canzoni, i giochi possano diventare strumenti per generalizzare competenze personali o riflettere su noi stessi. Tutto questo fa parte del contesto riabilitativo che deve essere calato nella vita delle persone per cui progettiamo un percorso che ha l’obiettivo di migliorare, mantenere o ricovare il proprio benessere mentale.

il Terp in funzione della salute mentale

La riabilitazione non è da considerarsi come un “riempimento”, ma come parte integrante ed imprescindibile di un percorso di benessere personale.

Unə bambinə o unə ragazzə che intraprende un percorso con un Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica, vuole essere consapevole di ciò che accade nella sua mente; desidera mantenere quel benessere conoscendo il percorso che ha svolto per giungere a quel punto.

Il modo migliore per poter spiegare ciò che faccio sta proprio nell’usare le parole giuste per descriverlo. E’ possibile che le emozioni siano difficili da gestire, che il proprio corpo non piaccia, che ci si senta molto stanchi o depressi, è possibile avere un’ansia incontrollabile o avere difficoltà a rapportarsi con gli altri. Tutto questo può succedere, non è una colpa. Tutto questo si può imparare a comprendere e gestire grazie ad interventi mirati di riabilitazione psichiatrica.

Articoli scientifici a riguardo

https://www.researchgate.net/profile/Rita-Roncone-2/publication/303092845_Psychiatric_Rehabilitation_in_Italy_Cinderella_No_More-The_Contribution_of_Psychiatric_Rehabilitation_Technicians/links/5979bf31aca272177c27c74b/Psychiatric-Rehabilitation-in-Italy-Cinderella-No-More-The-Contribution-of-Psychiatric-Rehabilitation-Technicians.pdf

https://www.jpsychopathol.it/wp-content/uploads/2020/10/01_Martinelli-1.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1636112/

La vera storia della strega cattiva: pregiudizi e realtà

In ogni società, in ogni luogo, in ogni storia c’è una strega cattiva. Una strega contro cui tutti puntano il dito, una strega su cui ricadono tutte le colpe. In ogni storia esistono pregiudizi e realtà, in questa storia andiamo a presentare la vera storia di ogni strega cattiva.

Avevo già parlato di questo albo su Instagram ( https://www.instagram.com/p/CdAk1AFsIdZ/?utm_source=ig_web_copy_link ) ma qui vorrei soffermarmi sul perché è utile leggerlo assieme a bambini e adolescenti e perché poterlo fare per la salute mentale.


la vera storia e il giudizio nella storia

“A chi non scaccia nel bosco la strega che è dentro di noi ma ha il coraggio di conoscerla e addomesticarla” L.T

L’albo inizia come la più classica delle fiabe “Qualche tempo fa, in un paese lontano, era nata una bambina“. Una descrizione, oggettiva, reale a cui segue subito un giudizio terribile “era nata brutta, tanto brutta[…] la mamma e il papà ne erano addolorati. Si dimenticarono anche di darle il nome“. Sin dall’inizio della storia il giudizio entra nella narrazione e diventa la storia stessa. Il pregiudizio, prende il posto della realtà.

La bambina viene lasciata a se stessa, e quando esce per le strade il nome le viene dato, le viene dato il nome in base alle sue caratteristiche e ai pregiudizi di ognuno: strega.

La vera storia della strega cattiva: pregiudizi e realtà

Venne allontanata dal paese e inizio a credere lei stessa di essere una strega, di meritarsi quel nome, di essere quel nome. Arrivarono nella sua casa in mezzo al bosco, tanti bambini che la Strega prontamente mangiò, perché è quello che la rendeva una strega. Poi arrivarono Hansel e Gretel che la uccisero gettandola in un forno e sconfiggendo la strega cattiva, che era solo una bambina.

Qualche tempo fa, così per caso, era nata una strega. A dir la verità, non lo era ancora Strega, quando era nata. Lo diventò dopo: una vera strega Cattiva. Ma quando era nata, era solo una bambina.”

Le immagini dell’albo accompagnano il lettore in una storia di sfumature, in cui però il pregiudizio, la fretta nel dare un nome a ciò che si vede, cambia la storia.

Pensate se quella bambina invece di essere chiamata “brutta” e “strega” fosse stata curata, vestita, educata, se qualcuno avesse giocato con lei e le avesse dato un nome proprio e non un nome comune che richiama ad un personaggio; non credete che la storia della strega cattiva sarebbe stata diversa?

educare all’osservazione e non al giudizio
La vera storia della strega cattiva: pregiudizi e realtà

Allora proviamo a trovare alcuni spunti di riflessione per capire come il pregiudizio incide sulla realtà.

Il villaggio sceglie per quella bambina la via più semplice del pregiudizio, dell’etichettamento, di mettere una persona dentro a un limite; certo è più semplice, ma non è conveniente. Da quel momento molti bambini che entrano nella foresta vengono mangiati dalla strega, la gente ne ha paura, non si avvicina, cambia le proprie abitudini.

Senza il pregiudizio tutti sarebbero stati meglio.

nella realtà…

Portiamo questo concetto nella nostra quotidianità. Quando penso che una persona “non è normale, è matta, va dallo psicologo o dal terapista perchè ha qualcosa che non va…” la allontano, la trasformo nelle parole che uso per descriverla. Se invece osservo il suo malessere, la sua fatica ad affrontare alcune situazioni, trovo in quella persona la voglia di ascoltarla e di complimentarmi con lei per aver chiesto aiuto.

Se un bambino o una bambina sono definiti “difficili” non osserverò ciò che vivono, come si comportano, non vedrò più loro come persone, ma vedrò la loro etichetta. Un’etichetta così semplice quanto poco realistica.

Fare prevenzione per la salute mentale con bambini e adolescenti, parte proprio dall’uso delle parole giusto, dall’osservazione della realtà, dal sentire ciò che si prova e capire da dove deriva quella sensazione. Fare prevenzione non passa solo per progetti sistematizzati, ma inizia dall’uso delle parole nella quotidianità iniziando proprio da noi adulti e dai pregiudizi e dalle parole che utilizziamo nella nostra comunicazione. Troveremo etichette e giudizi molto più spesso di quel che pensiamo, ma non deve spaventarci, deve invitarci a migliorare il nostro modo di parlare, pensare e rapportarci con gli altri. Significa prendersi cura della nostra strega cattiva e darle la possibilità di prendere un altro nome.

Se iniziamo da queste parole, da queste storie, porteremo tutto il villaggio a non aver paura della strega e a godersi con lei una passeggiata nel bosco

Qui potete leggere l’intervista all’autore https://www.terre.it/interviste/scrittori-illustratori/luca-tortolini-racconta-la-vera-storia-della-strega-cattiva/

Mostraci chi sei: fra neurodivergenza e abilismo

“Mostraci chi sei” è un romanzo edito da Uovonero edizioni che parla di neurodivergenza e abilismo. Scopriamo qualcosa di più sul libro e su queste parole!

La trama “mostraci chi sei”

Il libro è scritto da Elle McNicoll, scrittrice neurodivergente, che racconta di Cora, una ragazza di 13 anni autistica che abita con il padre e il fratello; quest’ultimo lavora per una società chiamata “Il Melograno” in cui si scoprirà durante la storia, che si occupa della creazione di ologrammi di persone.

Cora conosce Adrien, anche lui neurodivergente, e fra loro l’intesa è immediata, come immediato è il confronto sul tema dell’individualità, del concetto di normalità e della capacità della società di accettarli per quello che sono. La famiglia di Cora è attenta alle sue esigenze, l’ascolta e la accetta senza condizioni; la famiglia di Adrien invece solo in parte. Solo la madre è fiera di ciò che è suo figlio, mentre per il padre i suoi “difetti” vanno cancellati, eliminati, annullati perchè sono errori e non caratteristiche personali.

Mostraci chi sei: fra neurodivergenza e abilismo

Senza raccontarvi troppo del libro, vorrei soffermarmi sulla parte finale in cui Cora rivendica il suo diritto a scegliere per il suo benessere. Il suo diritto a decidere se e come è giusto mantenere alcune sue caratteristiche che la rendono davvero se stessa.

Un libro che può introdurre i ragazzi più giovani al tema della neurodivergenza, e gli adulti ad alcune riflessioni importanti sul nostro modo di essere persone educanti e anche professionisti sanitari.

neurodivergenza
mostraci chi sei: fra neurodivergenza e abilismo

Partiamo quindi dal significato di neurodiversità. Si basa sul concetto per cui esistono persone neurotipiche, in quanto il funzionamento del loro cervello funziona come nella maggior parte delle persone, rientra per questo nella media.

Le persone neurodivergenti invece, rientrano in alcune minoranze statistiche e possono essere autistiche, ADHD, dislessiche.

Se noi pensiamo alle divergenze come un problema puramente medico da curare, vedremo questa caratteristiche personali come un errore da correggere; se invece ampliamo il pensiero e partiamo dalla verità che siamo tutti neurodiversi, allora quelli che venivano definiti errori iniziano a prendere la forma di caratteristiche personali.

Quindi partiamo dal fatto reale, che siamo tutti diversi. Che alcuni di noi hanno diversità che ritrovano in molte altre persone , altri hanno diversità che possono ritrovarsi in un gruppo ristretto di persone. Queste caratteristiche definiscono la persona… esattamente come quelle neurotipiche caratterizzano le persone neurotipiche.

In quest’ottica anche il lavoro di un professionista sanitario deve concentrarsi non sulla correzione di errori, ma sulla percezione e consapevolezza della persona, sul modo in cui vive la sua neurodiversità. Spesso mi sono trovata a riflettere se una caratteristica fosse da assecondare nell’altro o fosse da cambiare, se dovessi intervenire o starla a guardare e attendere. La risposta è sempre stata quella di vedere quanto, quella sfumatura, potesse fare soffrire una persona, quanto potesse farla sentire inappropriata, non voluta, inadeguata; da qui il progetto non è cambiare, ma portare a consapevolezza.

abilismo

Questo ci porta inevitabilmente a pensare, riflettere e porci il dubbio di quale sia il nostro punto di vista rispetto alla disabilità. Per anni mi sono domandata quanto il mio sguardo sulla disabilità, sui disturbi mentali, fosse condizionato dalla società e dalla cultura in cui sono cresciuta o dal semplice fatto di non avere io stessa queste difficoltà. Lo scorso anno quindi ho iniziato a informarmi su questo aspetto e vi rimando quindi alla definizione di abilismo e all’articolo di Sofia Rigetti, attivista e filosofa che si occupa proprio di informazione su questo argomento. https://www.sofiarighetti.it/2019/05/17/abilismo-e-ora-di-parlarne/

L’abilismo è l’atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità. Rappresenta anche il sistema di potere che ritiene che alcune abilità abbiano più valore di altre. ( es. nella società ha più valore che ci si sposti con le gambe, rispetto a coloro che si spostano usando la parte superiore del corpo)

Questa è una delle definizioni che trovate all’interno del podcast “Senza cornice” che parla di disabilità e di abilismo e che vi consiglio di ascoltare.

mostraci chi sei… e chi sono

Questo libro offre davvero la possibilità di rileggere il pezzo di realtà che ci siamo creati. Di rivedere ciò che può essere parte di un pregiudizio interiorizzato perchè sistemico (cioè completamente dentro alle dinamiche della nostra società).

Chi di noi è un professionista della salute mentale deve porre ancora maggiore attenzione a questa dinamica, perchè il rischio di ricercare la perfezione, di voler controllare la normalità è sempre in agguato!

Abbiamo il dovere di conoscere le dinamiche sociali, linguistiche e relazionali di questi aspetti, di riconoscerli prima di tutto su di noi, per poi aiutare anche gli altri a riconoscerli e a modificarli.

Quando ci apprestiamo a creare un progetto riabilitativo, chiediamoci come si sente la persona davanti a noi, non cosa fare per farlo rientrare nella norma statistica. Chiediamoci quali strumenti possono aiutarlo ad esprimersi o a imparare, non quel strumento più di moda possiamo offrirgli!

Ci sono alcune righe trattedal primo capitolo del libro ” Anche questo è femminismo” edito da Tlon in collaborazione con Bossy, che racchiudono questa complessità:

“Anche questo è femminismo” edizioni Tlon

Disabilità come una conseguenza o risultato di una complessa interazione fra corpo, fattori ambientali e personali. (…) la disabilità sia strettamente connessa sia alla società che all’individuo, cessando di essere una frattura nello stato di salute per diventare invece una variazione nel funzionamento degli esseri umani. (pag 13, Sofia Rigetti e Marina Cuollo)

Non chiudiamoci dietro alle rigidità di progetti iper selettivi e specifici, non cerchiamo sempre di semplificare la complessità. Cerchiamo di leggere questa complessità con lenti e pensieri diversi, con informazioni diverse e adatte alla società in cui viviamo, adatta alle persone con cui interagiamo.


C’era una forma: una fiaba per parlare di salute mentale

C’era una volta, edizioni L’Ippocampo

Tutte le fiabe classiche iniziano con “c’era una volta”, ma qui si parte con “c’era una forma”. Ci insegnano le forme quando siamo bambini, impariamo a misurarle, a riempirle, a scoprire quanto misurano intorno, dentro, quanto misurano da un vertice all’altro..ma non ci insegnano a raccontarle. C’era una forma penso possa essere una fiaba per parlare di salute mentale.

C’era una forma è la storia di un regno, tutta scritta come una splendida filastrocca in stile medioevale, in cui  “tutti erano ben sagomati”. Non c’erano forme senza spigoli e spigoli senza caratteristiche.

Il re angoli retti pensieri ristretti”  è colui che governa il regno guardando tutto con la sua forma, e lo stesso fa con i propri figli, che purtroppo…sono tondi.

Si provò a raddrizzarli ma anche a furia di strizzarli, con stampini e con corsetti, rimanevano imperfetti”, la perfezione era un angolo, acuto o ottuso, ma un angolo! Nessun poteva uscire da queste forme, anche a costo di sacrificarne la vita. 

Inaspettatamente arrivò così una “forma solitaria e del tutto straordinaria”, una fata che cambiava colore e poteva aiutare la regina a concepire un figlio con i vertici, ma anche capace di mostrarle che   “dietro forme lambiccate c’erano qualità spiccate!” per ognuno dei suoi figli.

Ma poi questa figlia così perfettamente triangolare scelse un marito così tondo da riuscire a ballare, il re provò a limarlo, tagliarlo, modellarlo…ma tondo era e tondo tornava fino a quando assieme alla principessa  “per un po’ dimenticarono chi denigrava le loro forme non rientrando nelle norme” .

la rigidità

Quanti spunti ci sono in questo albo, c’è la forma della rigidità. La stessa rigidità che spesso accompagna i nostri pensieri, le nostre scelte, le nostre percezioni e convinzioni. Quanto sarebbe importante riuscire a smussare queste rigidità e prendere le decisioni per ciò che sono senza per forza doverle incastrare in mezzo a piccoli vertici che ci impediscono di guardare oltre. 

Penso a questo albo proprio per attività di psicoeducazione all’ansia, per spiegare i pensieri rigidi e disfunzionali, per mostrare quanto ci accaniamo a limare tutto… ma non vediamo altri pensieri molto più funzionali per noi.

la forma e il corpo

Il guardare la forma degli altri, il corpo degli altri, la forma dei loro vestiti, dei loro accessori, notare se hanno spigoli o curve. Un albo preziosissimo per riflettere sulle forme, su quanta importanza ne diamo se ci troviamo all’interno di un regno in cui la forma è tutto. La curva vista come semplicemente una forma, un altro tipo di forma ma non un errore; una figura con più linee diverse vista per ciò che è e per ciò che può dare, non come un’imperfezione.

Questo albo potrebbe essere davvero uno spunto perfetto per parlare di società grassofobica, di perfezionismo e di come i nostri pensieri sono influenzati dal luogo e da ciò che viviamo ogni giorno.

normalizzare

Tendiamo sempre a far rientrare tutto in caselle, spigoli, linee, ben definite, a cercare un dentro e un fuori… ma spesso c’è una linea che diventa curva o tratteggiata ma resta sempre se stessa, ciò che è e ciò che potrà diventare.

Penso che questa sia la più bella forma di normalizzazione e la più potente spiegazione di salute mentale che si possa dare.

c’era una forma …

“C’era una forma” è un albo che mi ha subito entusiasmato perchè ne ho visto le sue potenzialità per parlare di salute mentale. Vedo questo albo illustrato fra le mani di adulti, di ragazzi, di bambini, lo vedo nelle mani di professionisti della salute mentale ma anche di persone che vogliono essere accettate per la loro forma e cambiare il regno in cui vivono, non le loro linee.  

Il libro puoi trovarlo qui https://www.ippocampoedizioni.it/libro/9788867226955

Le fedeltà invisibili: quando sono i figli a dover sostenere i genitori

“Le fedeltà invisibili” di Delphine de Vigan, ed. Einaudi

Ho trovato questo libro un po’ per caso, ma già il titolo “Le fedeltà invisibili” mi ha incuriosito. Il termine invisibile mi lascia sempre senza parole perchè penso che siano davvero tante le cose visibili, ma che rendiamo invisibili. Un libro che come tema centrale ha i figli, piccoli o grandi, che hanno dovuto sostenere i genitori, o hanno dovuto sopportare iniziato loro grandissimi sbagli.

Il libro è un intreccio di 4 storie che si incontrano, di quattro equilibri fragili, di 4 persone di età diverse, contesti diversi che hanno in comune genitori fragili: aggressivi, assenti, alcolizzati, impauriti.

Nel libro vengono descritti in modo davvero reale cosa accade nella mente di bambini, che sono o che erano, quando un genitore non rappresenta un porto sicuro, non riesce a chiedere aiuto e si lascia trasportare da sensazioni, paure, disturbi mentali.

Le fedeltà invisibili, sono quelle verso le relazioni che ci hanno cresciuto, verso le persone che abbiamo incontrato nella nostra vita. Nel libro troviamo la storia di un matrimonio sbagliato e un altro fatto per convenienza. Sono invisibili a chi non le vuole vedere.

Invisibili a una scuola che guarda al rendimento, ma non al benessere di un ragazzo costretto a indossare pantaloncini non della propria taglia e a correre in questo modo davanti ai compagni.

Sono invisibili davanti a una ex-moglie che è accecata dall’odio per il marito tanto da non vedere il malessere fisico ed emotivo del figlio. Sono invisibili a una madre così concentrata di fare “bella figura” da non accorgersi di un figlio che inizia a bere per gioco. Sono queste le fedeltà invisibili tra figli e genitori.

perchè leggere questo libro?

Credo che questo libro sia indispensabile per ogni adulto che osserva il mondo dei ragazzi, ci ricorda quanto sia importante osservare senza pregiudizi, vedere i comportamenti reali, perché potremmo vedere difficoltà che richiedono il nostro ascolto e il nostro intervento.

Il racconto oscilla continuamente fra comportamenti che potrebbero essere considerati normali, ma che diventano segni di difficoltà e problemi se si guarda al più ampio contesto. Penso che la grande forza sia la disperazione che si legge fra le pagine di questo libro. Mette in evidenza il famoso continuum fra salute e malattia, fra ciò che è fisiologico e ciò che può essere un disturbo su cui dovere intervenire.

dal libro alla realtà

Nella realtà ho trovato tanti spunti di riflessioni e alcune associazioni che si occupano proprio di questi temi.

Parto con COMIP https://www.comip-italia.org associazione creata e fortemente voluta da figli di genitori con disturbi mentale. Sul loro sito trovate sia come sostenerli sia i loro progetti. Questa associazione è un punto di partenza molto importante, sia per eliminare alcuni tabù su questi aspetti, sia per fare reale prevenzione. Nella nostra società solitamente non si pensa che siano i figli a prendersi cura dei genitori. Grazie a questa associazione si inizia a “dire” che non è così.

Della stessa autrice vi consiglio anche questo libro che Stefania Ciocca ha descritto benissimo con riflessioni molto reali che potete trovare qui https://www.stefaniaciocca.it/2022/05/09/tutto-per-i-bambini-di-delphine-de-vigan/

In questo libro si sottolinea quanto anche i social, la voglia di apparire, mostrare, l’egocentrismo sia una fedeltà invisibile al proprio ego.