Mappe delle mie emozioni

e perchè esplorare le emozioni è il modo migliore per conoscerle…

Le emozioni non si insegnano, si vivono, si affrontano, si scoprono, si parlano, si esplorano. Per questo motivo uno dei miei albi preferiti per parlare di emozioni è questo: “La mappa delle mie emozioni” di Bimba Landmann edito da Camelozampa  puoi trovarlo qui! 

Questo albo è un ottimo esempio di come le emozioni siano sfumature in cui le terre esplorate diventino così simili e così diverse. Abbiamo la terra della speranza in cui troviamo la “strada che guarda lontano” e il “piccolo lago delle idee”. Una terra in cui ritroviamo immagini e parole che spesso vengono utilizzate quando si parla di psicoeducazione alle emozioni, parole che bambini e ragazzi riportano spesso nelle loro narrazioni, ma che altrettanto spesso vengono poco ascoltate e giudicate come parole da sognatori. Quasi che quelle parole non fossero reali emozioni.

Le terre della paura, sono tinte di giallo e raccolgono il batticuore, il terrore, il castello pallido e la strada senza via d’uscita. Quante di queste parole vengono usate da bambini e ragazzi quando parlano delle  loro paure: paure del futuro, della scuola, nelle relazioni. L’immagine delle terre in cui viaggiare ci permette di aprire un punto importante delle emozioni e della psicoeducazione: non esiste una scala gerarchica che va in un’unica direzione, ma c’è una esplorazione che ci permette di conoscere e sperimentare gradi diversi in momenti diversi, delle nostre emozioni.

Questo albo racconta mille storie diverse, racconta storie lunghissime in cui  il disgusto diventa inaccettabile, e storie di pochi secondi in cui il Mare Esultanza, diventa l’unico orizzonte che abbiamo.

Questo albo può essere una mappa preziosa per iniziare un percorso di psicoeducazione emotiva; uno strumento in cui rispecchiarsi o da cui prendere parole nuove, un disegno in cui rispecchiarsi, ma anche una partenza per scrivere la propria mappa delle emozioni.

Spesso mostro queste immagini a bambini e ragazzi dicendo loro “da che punto della mappa vorresti partire?” e già da questa scelta mi accorgo cosa preme di più a loro, in quel momento e, cosa vogliono evitare.

Certo non basta un libro e poche chiacchiere, oltre al primo passaggio ci vuole conoscenza e professionalità, occorre un professionista che conosce queste terre, che le ha esplorate a sua volta e che riesca a guidare i nuovi esploratori spesso spaventati o incuriositi.

quando si possono esplorare le emozioni, e quando è necessario farlo

In ogni momento è possibile fare un intervento psicoeducativo mirato, ma ci sono momenti in cui è più importante, momenti in cui è fondamentale.

Pensiamo a un bambino o una bambina che fatica a stare con i compagnǝ perchè si sente spaventata o non compresa, sarà importante capire e dare le giuste parole a quella sensazione. Altri potrebbero avere difficoltà nel rapporto con il loro corpo, ma se non riescono a trovare la giusta descrizione per quello che sentono e  rischiano di trovare, come unica strategia, comportamenti negativi che possono peggiorare il loro benessere mentale e anche fisico.

Se unǝ bambinǝ o unǝ  ragazzǝ faticano a restare attenti, ma non conoscono cosa sia e che nome abbia quella sensazione che li prende ogni volta che a scuola vengono rimproverati per questo, non potranno migliorare le loro capacità attentive, perchè non riusciranno a condividere ciò che sentono e a cosa è collegato.   

Per questi e molti altri motivi ho scelto di parlare di psicoeducazione emotiva in un webinar che potete trovare  a questa pagina. 

Esplorare assieme a bambini ragazzi le emozioni è un viaggio entusiasmante ma anche delicato, per questo non possiamo lasciare nulla al caso.

Comunicare e condividere i percorsi riabilitativi con bambini e ragazzi

Spesso nei corsi di formazione, nei manuali, si spiega come comunicare alla famiglia le diagnosi e i disturbi, ma è fondamentale comunicare e condividere i percorsi riabilitativi e le diagnosi anche con i bambini e i ragazzi.

Il termine che viene utilizzato per definire questa capacità è self-advocacyLa capacità di un individuo di comunicare, trasmettere, negoziare o affermare efficacemente i propri interessi, desideri, bisogni e diritti. Implica prendere decisioni informate e assumersi la responsabilità di tali decisioni” (VanReusen et al., 1994).

Lavorare assieme ai bambini e ai ragazzi significa anche renderli partecipi del loro percorso, spiegare cosa stanno facendo e la motivazione. La consapevolezza del fare certe attività o certi discorsi, permette alla persona di riflettere sul suo discorso, sempre tenendo in mente l’età e lo sviluppo emotivo e cognitivo personale. Ora vorrei condividere con voi qualche esempio che spesso mi è stato utile per spiegare a bambini e bambine, un disturbo, una fragilità o il perchè del percorso che avremmo iniziato insieme.

PARTIAMO DAGLI ALBI ILLUSTRATI

Uno degli albi illustrati che preferisco in assoluto è “Un trascurabile dettaglio” edito da Terre di Mezzo e scritto da Anne Gaelle Balìe e Cisl.

In questo albo il protagonista ha un difetto che non gli consente di scrivere e leggere bene e a causa del quale viene messo spesso in punizione e fatica a trovare amici che lo comprendono. Poi arriva un dottore, un dottore che con una “formula magica” rende quel difetto un trascurabile dettaglio che non è più ingombrante, non dà più fastidio ma diventa semplicemente parte della persona.

Questo albo si presta moltissimo con bambini e bambine che hanno un Disturbo dell’apprendimento (DSA), proprio perchè si rispecchiano nel protagonista. Può essere letto in condivisione per poi riflettere su quale “filo” , rende difficoltoso imparare (la lettura lenta, la difficoltà nei calcoli, la scrittura poco comprensibile…), quanto questo filo sia davvero ingombrante e spiegare quali strumenti possono aiutarci a rendere questo filo sempre più piccolo, meno ingombrante, meno invadente.

In questo albo possiamo trovare tanti ganci con la realtà emotiva o rispetto all’ambiente che circonda i bambini.

uno strano elettrodomestico

A volte ascoltando e parlando con bambini e ragazzi, ci accorgiamo che ci sono strumenti quotidiani che si prestano ad essere ottime metafore… come è accaduto a me con il robot aspirapolvere. Esatto, quel piccolo elettrodomestico che aspira i pavimenti, girando autonomamente per casa.

Questo strumento, può essere preziosissimo per spiegare che ci sono strumenti che ci aiutano a svolgere un compito in meno tempo e con meno fatica; uno strumento che tutti vedono ma che nessuno considera qualcosa di sbagliato. Ho usato più volte questa metafora per spiegare perchè è importante usare degli strumenti compensativi ( computer, tavola pitagorica, o anche un semplice memo sul telefono per ricordare gli appuntamenti senza ansia!). Ragionare su ciò che ci circonda, ci permette di vedere tutto in un’ottica nuova, più normale, rassicurante e concreta allo stesso tempo.

cervello e lampadine

Ogni disturbo, ogni fragilità, ogni emozione, parte dal cervello. Occorre spiegare a bambini e ragazzi come è fatto il nostro cervello, perché pensiamo, o ci comportiamo in un certo modo, cosa succede quando siamo in ansia, o arrabbiati o preoccupati, ed ecco altri due libri che possono aiutarci a spiegare come funziona il nostro cervello e che in noi, non c’è nulla di sbagliato:

C come cervello” Nomo edizioni

cosa c’è nella mia testa?” Il Castoro

Il punto sul “sentirsi sbagliato” è fondamentale per condividere progetti. Non dobbiamo “aggiustare, cambiare” dobbiamo condividere che possiamo aiutare a sentirsi più autonomi, più efficaci, sentirsi sicuri di sé, diminuire la fatica nel svolgere un’attività o dare più strumenti per poter scegliere ciò che è meglio, ciò che piace.

Spiegare prima di ogni attività il motivo per cui si fa, il modo con cui la faremo, rende partecipe l’altra persona, non subisce qualcosa di già deciso, non si sente uno spettatore, ma un attore del proprio percorso.

Di seguito lascio una rfiflessione nata durante un colloquio qualche anno fa, la lascio proprio così, perchè spiegare in modo semplice richiede uno sguardo attento, creatività e tanta conoscenza reale di ciò che di cui stiamo parlando.

“Serena, perché leggo più lento dei miei compagni di classe?”

Dentro il tuo cervello ci sono tante LUCINE come quelle che metti sull’albero di Natale hai presente?!
Sono tutte unite in fili e la cosa bella è che quando ne accendi una accendi anche tutte le altre. 
Ad esempio quando stai attento e ascolti la maestra ricordi quello che dice e questo accende un sacco di lucine. 
“È vero, sono bravo ad ascoltare! Anche le storie!”

Quando leggi più lento vuol dire che una lucina si accende più lentamente delle altre quindi fa un po’ fatica a fare luce. A volte basta l’allenamento e poi la lucina si accende veloce come le altre, altre volte invece la lucina rimane un po’ più lenta in questo caso si chiama dislessia. 
Non è un problema tuo non è che non sei motivato, o che non ti impegni abbastanza, semplicemente quella lucina è nata così… 

Ma sai qual è un’altra cosa bellissima del nostro cervello? E che quando accendi una lucina si accendono anche tutte le lucine dello stesso filo quindi ad esempio se tu stai molto attento diventi più curioso e quindi impari più parole e riesce a spiegarti meglio e trovi tanti modi per risolvere i problemi. 

In ogni caso ricordati che tu puoi sempre aggiungere altre lucine ai fili, che quindi non faranno più vedere la lucina fioca, ma tutti insieme mostreranno una grande luce.

“Hidden Valley Road” una famiglia per parlare di prevenzione psichiatrica

la storia
“Hidden Valley Road” ed. Feltrinelli

Questo libro parla della storia della famiglia Galvin: Don e Mimi sono genitori di 12 figli (10 maschi e 2 femmine) vissuti dagli anni ’40 ad oggi in USA. Appena ho iniziato a leggere “Hidden Valley Road” ho pensato che è un libro perfetto per parlare di prevenzione psichiatrica.

La famiglia Galvin non è ritenuta speciale solo per i 12 figli, ma per il fatto che di questi 12 figli, a 6 è stata diagnostica la schizofrenia, o in tempi successivi un altro disturbo mentale (psicosi, disturbi schizoaffettivo). La famiglia Galvin è stata una delle famiglie grazie alla quale la Dottoressa Lynn Delisi e il Dottor Robert Freedman, hanno potuto studiare le basi genetiche della schizofrenia (qui trovate un nuovo studio italiano che si basa su questi studi https://www.jpsychopathol.it/wp-content/uploads/2015/08/Olgiati1.pdf ).

Il libro sembra in parte romanzo e in parte diario di cronaca, alterna la storia della famiglia Galvin, con le ricerche scientifiche attive in America e nel mondo, sulla schizofrenia. Ma ci sono alcuni temi che penso siano affrontati in modo davvero esaustivo nel libro e che aprono alcune considerazioni e domande anche a noi oggi.


Tratto dal libro

Ma i Galvin non sono mai stati una famiglia come le altre. Negli anni in cui Donald diventava il primo e più evidente caso, altri cinque fratelli stavano silenziosamente crollando. C’era Peter, il figlio più piccolo e il ribelle di famiglia, ossessivo e violento, che per anni avrebbe rifiutato ogni aiuto. E Matthew, un ceramista di talento che, quando non era convinto di essere Paul McCartney, credeva che il sole lo seguisse ovunque. Poi c’era Joseph, il più mite e riflessivo dei ragazzi malati, che sentiva delle voci da epoche e luoghi diversi, voci per lui reali come la vita stessa. E c’era Jim, il secondogenito anticonformista e acerrimo nemico di Donald, che si sarebbe rivalso sui membri più indifesi della famiglia, soprattutto Mary e Margaret. Infine c’era Brian, il perfetto Brian, la rockstar di famiglia, che teneva nascoste a tutti le sue paure più profonde e che in un imperscrutabile, plateale atto di violenza avrebbe cambiato le loro vite per sempre.

Kolker, Robert. Hidden Valley Road (Italian Edition) (pp.12-13). Feltrinelli Editore.


SALUTE MENTALE è FEMMINISMO

Partiamo dalla questione “Madre“. Sì perchè la madre da sempre svolge il ruolo di capro espiatorio per ogni patologia psichiatrica. In questo caso ci rifacciamo alla teoria, decisamente molto in voga nel ‘900, della madre “schizofrenogena“. Secondo questa teoria ( ma sarebbe meglio dire idea) i figli diventano schizofrenici per colpa della madre che risulta o troppo ansiosa e attaccata ai figli, o troppo distante e anafettiva. Il ruolo sociale di “madre”, diventava per una donna, anche l’accusa senza possibilità di difesa, per ogni disturbo mentale dei propri figli. Essere madre portava già al suo interno il pregiudizio sistemico, secondo cui ogni disturbo, malattia, devianza dalla società o dalla normalità, fosse colpa di un errata, ma mai sostenuta, genitorialità materna.

Foto Della Famiglia Galvin. “Hidden valley road” una famiglia per parlare di prevenzione psichiatrica

Già nel 1940 Fromm-Reichmann aveva lanciato l’allarme contro “la pericolosa influenza della madre tirannica sullo sviluppo dei figli”, definendo simili madri “il principale problema delle famiglie”. Otto anni dopo, lo stesso anno in cui Joanne Greenberg divenne sua paziente, Fromm-Reichmann coniò un termine che sarebbe stato affibbiato alle donne come Mimi Galvin per decenni: quello di madre schizofrenogena. Era “soprattutto” una madre di questo genere, scriveva, la responsabile del “grave snaturamento e senso di rifiuto iniziali” che rendevano un paziente di schizofrenia “terribilmente diffidente e risentito nei confronti delle altre persone”. Fromm-Reichmann non era di certo la prima psicanalista a incolpare la madre di qualcosa.

Kolker, Robert. Hidden Valley Road (Italian Edition) (pp.72-73). Feltrinelli Editore.


Tutta colpa delle madri: medical bias e pregiudizio implicito

La salute mentale è ed è stata fortemente influenzata, da teorie che incolpavano le donne ( sia per la schizofrenia, che per l’autismo e in generale ogni disturbo del neurosviluppo ).

Per decenni il padre non è mai stato considerato un elemento di crescita, capace di influenzare i comportamenti, le emozioni e la salute mentale dei propri figli.

Le prime teorie sulla madre schizofrenogena erano date solo da supposizioni, idee, osservazioni spesso legati a bias (cioè errori cognitivi) per cui vedevano solo ciò che volevano vedere per confermare la propria teoria.

Mimi Galvin: hidden valley road una famiglia per parlare di prevenzione psichiatrica

Nel libro trovate spiegato in modo esplicito come NON VI SIANO STATI studi scientifici per confermare queste teorie. Mimi, la madre dei ragazzi, ad ogni incontro con medici e psichiatri sentiva solo accuse nei suoi confronti: lei era la causa di tutti quei figli schizofrenici.

Questo l’ha portata a non fidarsi dei medici, a nascondere la realtà vissuta dai propri figli e ad affidarsi a sedicenti guaritori, che però non l’avrebbero accusata di essere una pessima madre.

Questo accadeva a metà del secolo scorso ed ha influenzato moltissimo l’idea della malattia mentale : non è prevedibile, è pericolosa, non è curabile ed è tutta colpa delle madri.

Dire che la salute mentale è femminismo, significa comprendere quanto i ruoli sociali, le identità prestabilite dalla società, influenzano il modo in cui vediamo una donna e il ruolo che ricopre. In tutto il libro nessuno chiede in modo esplicito a Mimi se aveva subito traumi (emergono alla fine su richiesta di una figlia), se avesse bisogno di aiuto per gestire quei 12 figli, o semplicemente cosa voleva.

Sicuramente la descrizione che ne emerge sembra avvallare la teoria della madre schizofrenogena: Mimi è sempre rigida, decisa, incapace all’ascolto, pronta a criticare i figli o a snocciolare frasi fatti come insegnamenti personali. Questo non è altro che il risultato ambientale sociale in cui Mimi incarna la donna americana della sua epoca. Mimi si annienta per lasciare al marito il lavoro dei suoi sogni, si azzera per poi addossare ai figli i suoi desideri mai realizzati (musica e balletto) Mimi diventa la donna che tutti si aspettano ma nessuno, si cura della sua salute mentale.

femminismo e prevenzione

Fare prevenzione significa osservare la società e le richieste che una determinata società impone alle donne, significa vedere tutto l’insieme per poter offrire un insieme di proposte utili per sostenere la salute mentale delle donne madri.

Ad esempio: sostegno alla genitorialità, consapevolezza dei propri desideri e delle imposizioni, spazi di sostegno psicologico ed ascolto. Se Mimi avesse potuto avere anche solo una parte di questi servizi, forse avrebbe potuto aiutare meglio se stessa e i suoi figli, forse si sarebbe sentita ascoltata e non colpevole.

prevenzione, adolescenza: fattori di rischio e fattori protettivi

Ognuno di loro fece esperienza della malattia in maniera diversa: Donald, Jim, Brian, Joseph, Matthew e Peter soffrirono ognuno di sintomi differenti, richiesero trattamenti diversi e una varietà di diagnosi mutevoli, e generarono teorie contrastanti sulla natura della schizofrenia.

I 6 fratelli che ricevono e vivono una diagnosi psichiatrica, vedono l’insorgere dei sintomi durante l’adolescenza. Ognuno in modo diverso, ma tutti hanno in comune una forte aggressività: “Poi i giochi cambiavano. Donald colpiva i suoi fratelli sulle braccia, dritto sul muscolo, dove faceva più male. E poi cominciò a organizzare combattimenti. Michael contro Richard, Richard contro Joseph. Diceva a due fratelli di tener fermo un terzo mentre gli tirava delle sventole, poi li obbligava a fare altrettanto, a turno, contro il fratello indifeso e prigioniero. L’ordine, per alcuni dei suoi fratelli più piccoli, era indimenticabile: “Se non lo picchiate, e con forza, i prossimi sarete voi”.

Leggendo le abitudini presenti in questa famiglia, si legge ancora una volta il desiderio di rispettare la convenzione sociale ma non di fermarsi a parlare e ascoltare l’altro. Vengono descritti giochi fisici e violenti, abusi sessuali che i fratelli maggiori compivano sui minori, e questo non a causa della malattia, ma a causa di una assente educazione ( trovate qui un ottimo approfondimento di Annalisa Falcone, pedagogista femminista esperta in questo ambito, https://annalisafalcone.it/2021/04/08/come-insegniamo-involontariamente-la-cultura-dello-stupro-a-bambinə-e-adolescenti/ ).

Dal libro si evince una determinazione biologica alla schizofrenia, ma studi recenti hanno evidenziato quanto la prevenzione sociale, emotiva e culturale, siano fondamentali per migliorare l’eventuale decorso della schizofrenia, e la ricoveri successiva.

le relazioni: fattori di rischio o fattori protettivi?

Una migliore consapevolezza di sé, delle proprie emozioni, la capacità di dire ciò che si pensa e si prova, di affermare la propria volontà in modo positivo, sicuramente avrebbe influito sulle violenze effettuate e subito. Nessun dei ragazzi ne parla se non da adulto, questo perchè sapevano di essere in un contesto sociale e famigliare in cui la loro voce non sarebbe stata ascoltata. Sapevano che sarebbero stati etichettati come “femminucce… lamentosi…vili” sapevano che sarebbero usciti dagli schemi sociali imposti.

Nessun professionista dell’epoca era riuscito a valutare eventuali fattori di rischio e di protezione, non si hanno informazioni sulle loro relazioni all’esterno della famiglia o a scuola, se non legate ai voti presi o all’essere esclusi dopo l’esordio della schizofrenia. O meglio leggiamo dai dati quanto le attività performative, fossero decisamente più importanti di quelle relazionali!

la salute mentale è politica
dry branches on brown paper with text
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I ricchi hanno queste opportunità e i poveri no,” disse Lindsay. “Vedere questo ragazzino cambiare rotta e riuscire a farcela… be’, avrebbe potuto benissimo andare diversamente. Credo sinceramente che se i miei fratelli avessero avuto occasione di fare qualcosa del genere, forse non si sarebbero ammalati così.

Queste sono le parole con cui Lindsay, la piccola Mary, che decide di cambiare il proprio nome da ragazza, per fuggire a ciò che ha vissuto. Parla di suo figlio, che ha fatto seguire sin da bambino per il timore che un gene della schizofrenia, rendesse anche lui, irriconoscibile come i suo fratelli.

Il figlio riesce a imparare a gestire le proprie emozioni, a riconoscerle e a vivere assieme alle sue fragilità…ma, non tutti possono permetterselo. Lindsay, diventa una donna benestante grazie al suo lavoro, questo le permette le migliori cure, ma significa anche che molti altri non potranno avere le stesse cure. Significa che la prevenzione non è per tutti e che quindi la politica deve occuparsene.

conclusioni

Questo articolo è decisamente più lungo degli altri, e se siete arrivati fino a qui meritate una conclusione davvero degna di questo nome. I temi trattati in questo libro sono davvero tantissimi, vanno dall’educazione alla sociologia alla psichiatria, parla di farmacologia, di politica e di religione. È difficile racchiudere tutto in un articolo, ma anche solo iniziare alcune riflessioni su questi punti, collegarle alla nostra realtà italiana del 2022, ci può far capire quanto si è fatto e quanto ancora ci sia da fare, quanto la storia di una famiglia così fuori dagli schemi, sia una corretta metafora per ogni società, piccola o grande che sia.

PER APPROFONDIRE

“Mi vedete?”: un cortometraggio per parlare di depressione in adolescenza

“Mi vedete?” cortometraggio sulla depressione in adolescenza, presentato al Giffoni Innovation Hub

Parlare di depressione in adolescenza, porta al suo interno una serie di pregiudizi che vediamo tutti espressi in questo cortometraggio:

è solo un adolescente….non è depressa quindi non è pazza come tua madre…puoi fare qualcosa, smettila di comportarti così!” ciò che si tende a pensare spesso, quasi sempre, è l’idea che in adolescenza non si possa e non di debba essere depressi!

Questo dipende da alcuni retaggi storico sociali; dall’800 la depressione era dichiarata dai primi psicologi e psichiatri come uno stato di grande tristezza , specie nelle donne e la cui causa era legata a un trauma passato. Assieme a questa l’idea più poetica per cui la letteratura ci ha descritto autori e personaggi dei romanzi, depressi, ma sempre rigorosamente adulti e con traumi da superare.

Nel ‘900 la depressione inizia ad essere vista anche come un aspetto sociale, o meglio un derivato della società, in cui la parte economica la fa da padrone… e parliamo sempre e ancora una volta di adulti.

Tutti questi aspetti hanno permesso di interiorizzare l’idea errata che la depressione sia solo ed esclusivamente un disturbo degli adulti e che ha delle cause precise e condivise. Per cui “ti è permesso essere depresso se hai determinati motivi validi e condivisibili!”.

depressione in adolescenza

Questo cortometraggio spiega e mostra in modo evidente quanto invece, la depressione si un problema importante anche in adolescenza.

La depressione è un disturbo psichico in cui coesistono problemi biologici (calo di serotonina, dopamina e noradrenalina), personali e sociali (ambiente, livello di benessere economico, socialità…). Non sempre è reattivo, cioè causato da un evento principale come un trauma o un lutto, ma può essere causato da aspetti internalizzati come pensieri, idee ed emozioni svalutanti.

Osservare eventuali cambiamenti nei comportamenti dei ragazzi e delle ragazze, è già un primo punto di partenza per andare verso un cambiamento che permetta di sentirsi meglio.

Un errore comune è quello di pensare ai sintomi che vediamo, in ottica adulta, sminuendo di fatto la parte affettiva ed emotiva della persona. Ad esempio: “ma di cosa ti lamenti che hai tutto! Se sei depresso tu io cosa dovrei dire? Non ti manca niente! Se ti impegni vedrai che starai meglio!” . E sì, è molto probabile che tutti noi lo abbiamo detto o pensato almeno una volta nella nostra vita adulta.

non è l’eta che determina la sofferenza emotiva

Occorre mettersi nei panni dell’altro, percepire la sua sofferenza emotiva e non solo cercare oggettivamente un qualcosa a cui ricondurla, un vero e chiaro motivo che ti permetta di sentirti triste. Dobbiamo sentire la tristezza e non giustificarla. Siamo chiamati come adulti ad accogliere ciò che l ragazza o il ragazzo sente, prima che questa tristezza invada in modo totalizzante la vita di chi la subisce.

Nel cortometraggio possiamo vedere i genitori come figure opposte: la madre che nota e sente le difficoltà della figlia, e il padre che vorrebbe cancellare in modo rapido e veloce queste frivolezze adolescenziali…che sono però influenzate dalla presenza di una “nonna pazza”, che probabilmente è una donna che soffre di depressione. Questo ci riconduce agli stereotipi di cui avevo parlato qui https://www.serenaneri.it/la-vera-storia-della-strega-cattiva-pregiudizi-e-realta/

Entrambi si accorgono della sofferenza, quando la ragazza commette il gesto più visibile e concreto di tagliarsi e cercare di non sentire più il proprio dolore.

il dolore è reale, concreto, pesante e sembra invincibile

Questo è quello che ci porta a vedere il cortometraggio, la realtà del dolore, in cui ogni avvicinamento dell’altro sembra inutile. Un dolore che invade e pervade ogni aspetto della vita personale: scuola, famiglia, amicizie. Al termine del cortometraggio, la protagonista chiede di essere vista, lo chiede a nome di tutti gli altri e le altre adolescenti che soffrono e che spesso sentono sminuire il loro dolore. Hanno bisogno di essere ascoltati, accolti.

Ecco da cosa possiamo partire, tutti, non solo chi si occupa per lavoro di salute mentale. Come esistono sintomi visibili che possono farci capire che è in atto un infarto o un calo glicemico, abbiamo il dovere di conoscere anche i sintomi che possono rappresentare l’inizio di depressione in adolescenza. Conoscerli e vederli è il primo passo per poi poterci rivolgere a uno specialista.

Non occorre che tutti i sintomi siano tutti presenti, basta anche solo uno di questi per poter prevenire stati depressivi maggiori o gesti più estremi.

sintomi più comuni
  • Tristezza o disperazione
  • Irritabilità, rabbia, ostilità
  • Frequenti pianti
  • Distacco da amici e parenti
  • Perdita di interessi
  • Difficoltà a dormire, dorme di più o molto di meno, e cambiamenti nel comportamento alimentare (diminuzione o aumento dell’appetito)
  • Agitazione, difficoltà nel rimanere fermo, oppure al contrario rallentamento nei movimenti e nel pensiero ( più lento a rispondere, risolvere problemi quotidiani)
  • Senso di colpa, inutilità
  • Mancanza di entusiasmo e motivazione
  • Affaticamento, debolezza
  • Difficoltà di concentrazione
  • Pensieri di morte, idee suicidarie (l’idea della prevenzione è arrivare prima che questi emergano!)

In questo articolo de il Post, trovate alcuni suggerimenti anche in caso di idee suicidare https://www.ilpost.it/2018/06/10/cosa-fare-per-aiutare-persona-depressa-suicidio/

cosa sarebbe importante fare
Prevenzione

Sarebbe fondamentale sviluppare siti, applicazioni e canali social che possano aiutare i ragazzi a mettersi in contatto in modo rapido e immediato con professionisti in grado di aiutarli, linee di intervento capillari su tutto il paese, che possano dare prime indicazioni su come agire concretamente in caso di pensieri depressivi o pensieri estremi.

Per ora il Telefono Azzurro, resta la linea più presente e affidabile in caso si senta la necessità di parlare con qualcuno dei propri pensieri, puoi trovare qui tutte le informazioni https://azzurro.it/cosa-facciamo/

Il Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica (TeRP) in età evolutiva

Ogni volta che mi trovo a provare a descrivere la mia professione mi sembra sempre di usare parole molto difficili che non arrivano mai al punto centrale della situazione, cioè: spiegare la mia professione! Allora ci riprovo, sperando che questa volta la definizione sia chiara. Andiamo a conoscere chi è il il tecnico della riabilitazione psichiatrica in età evolutiva.

punto di partenza: chi è il tecnico della riabilitazione psichiatrica (teRP)

Partiamo dalle definizione più descrittiva, quella che potete trovare anche su internet: 

Il tecnico della riabilitazione psichiatrica è una professione sanitaria che si occupa di salute mentale nell’ambito della prevenzione, riabilitazione e ricerca. Lavoro durante tutto l’arco di vita occupandosi dei problemi legati alla salute mentale.”

Ecco ora arriviamo a uno dei problemi maggiori quando devo descrivere la professione, il nome stesso.

Tecnico: dal lat. technĭcus, gr. τεχνικός, der. di τέχνη «arte» (pl. m. -ci). – 1. agg. a. Relativo alle applicazioni e realizzazioni pratiche di un’arte, di una scienza o di una disciplina, di un’attività:  (Treccani). Ecco questo significato di possedere un’abilità unica e specifica grazie alla quale realizzo un’arte penso che calzi benissimo con il mio lavoro. Potreste chiedervi cosa centra l’arte, ma in effetti nel mio lavoro creo qualcosa con pochi strumenti: uso le parole per creare relazioni, attraverso le immagini creiamo storie, con i giochi creiamo nuove modalità di pensiero e strategie per imparare. È un arte molto difficile riuscire a creare relazioni che si prendono cura. I tecnici della riabilitazione psichiatrica imparano a farlo.

Riabilitazione: riconquistare abilità che si sono perdute a causa di una malattia o di un problema insorto nel corso della vita ( non vi metto la Treccani perchè dà una definizione lunghissima…). Interveniamo dopo che una malattia, o un disturbo, ha cambiato, tolto o peggiorato le abilità di una persona. Principalmente questi disturbi hanno a che fare con la sfera psichiatrica ( disturbi psicotici, dell’umore, disturbi del neurosviluppo in età evolutiva…). All’interno di questo aspetto rientrano anche aspetti abilitativi, cioè aiutare a raggiungere nuove abilità che non erano presenti in passato assieme ad aspetti preventivi, di cui vi avevo già parlato qui https://www.serenaneri.it/category/prevenzione/ .

Psichiatrica: che si occupa della psiche tenendo conto degli aspetti fisiologici ed anatomici. Ecco qui però mi sento di approfondire oltre l’etimologia della parola, di guardare il pregiudizio che sta al suo interno.

Il pregiudizio sul termine “psichiatrico”
il tecnico della riabilitazione psichiatrica in età evolutiva

Questo nome fa ancora molta paura, perchè il termine “psichiatrico”  porta con sé anni di paure legate ai malati mentali, pregiudizi sull’essere matto o matta, su strane equivalenze per cui se ti occupi di psichiatria hai a che fare con persone che perdono il controllo, persone che non trattengono i propri istinti più profondi.

Tutto questo si chiama pregiudizio e spesso causa stigma nelle persone che soffrono di disturbi psichiatrici, e uno degli obiettivi che si pone la nostra professione  è eliminare lo stigma legato alla malattia mentale avendo come obiettivo ultimo la salute mentale.

Ecco allora il mio lavoro, che si basa su teorie ed evidenze scientifiche, che ha a che fare con test standardizzati, (cioè i cui risultati ci dicono il modo in cui quella funzione o abilità è presente nella persona rispetto alla media generale). Lavoriamo anche con le parole, con la comunicazione, con le storie delle persone, con l’ascolto e con il tempo.

Il nostro lavoro come tecnici della riabilitazione psichiatrica, è estremamente pratico, osservativo e in cui la teoria si fonde con la pratica, in cui occorre agire dopo aver osservato e ascoltato. La pratica delinea la nostra professione in modo decisivo, soprattutto quando lavoriamo nel campo dell’età evolutiva che comprende bambini e ragazzi.

il Terp in età evolutiva: PERCHè LAVORARE CON BAMBINI E RAGAZZI?
il tecnico della riabilitazione psichiatrica in età evolutiva

Questa è la domanda che forse mi è stata fatta più spesso negli ultimi anni. Pare che la nostra figura professionale possa intervenire solo in contesti di gravità e in età adulta, e penso ci sia ancora molto da fare in termini di ricerca e lavoro rispetto alla consapevolezza che la salute mentale esiste sin da bambini.

Spesso si fa riferimento ad altre figure professionali per lavorare con e per i bambini e i ragazzi; ma ci sono aspetti strettamente legati alla salute mentale, per cui penso che, la figura del tecnico della riabilitazione psichiatrica sia fondamentale per questa parte della popolazione.

I bambini hanno il diritto di essere consapevoli che hanno una mente che crea pensieri, emozioni, sensazioni, e hanno il diritto di potere e saper gestire ciò che pensano e provano  nel modo migliore per loro e per le persone che gli stanno intorno.

Prendiamo ad esempio i disturbi del comportamento, uno degli ambiti di cui mi occupo prevalentemente. 

Occuparci dei disturbi del comportamento non significa solo estinguere i comportamenti problematici, ma prendersi cura di queste persone. Significa renderli consapevoli delle loro emozioni e dei comportamenti che mettono in atto quando si sentono in un determinato modo. Occorre anche fare prevenzione per evitare nuovi disturbi che potrebbero presentarsi in età adulta (dipendenze patologiche, disturbi dell’umore…).

Lavorare assieme ai bambini e ragazzi, ha come aspetto di importanza prevalente, quello di aumentare i fattori di protezione e quindi evitare fattori di rischio che possono incidere sull’adulto che diventerà.

Occuparci di disturbi dell’alimentazione non significa attendere un calo di peso visibile a tutti, ma valorizzare ogni corpo, dare l’opportunità ai ragazzi e alle ragazze di sperimentare ciò che provano e come vedono il loro corpo e i loro cambiamenti. Significa agire già da piccoli aiutando avere un buon rapporto con il cibo, essere consapevoli del proprio corpo.

come lavorare da terp in età evolutiva

Lavorare in età evolutiva significa specializzarsi in alcuni ambiti specifici. Spesso la laurea triennale non è sufficiente per poter lavorare con bambini e ragazzi. Occorre frequentare master, corsi di perfezionamento e corsi specifici sono parte integrante del nostro lavoro. Assieme alla preparazione specifica, è fondamentale l’osservazione sul campo grazie alla possibilità di tirocini in studi o strutture che si occupano di bambini e ragazzi.

Ma la curiosità personale, la voglia di studiare libri, manuali, partecipare a corsi specifici, deve essere un punto fondamentale della nostra professione.

La società cambia continuamente e questo incide sui nostri comportamenti, i nostri pensieri, e sulle difficoltà che possono vivere bambini e ragazzi (pensate ad esempio all’effetto del covid sulla salute mentale). Informarsi in modo continuo significa anche essere aggiornati su nuovi metodi di riabilitazione, approcci, modalità di intervento ed osservazione. Questo implica la ricerca continua di corsi validi, spulciare fra le librerie online e offline per trovare libri di valore, leggerli e studiarli e magari accorgersi che non è quello che ci aspettavamo.

Cambiare il proprio sguardo su ciò che il nostro mondo offre, pensate a quanto i libri, le serie tv, le canzoni, i giochi possano diventare strumenti per generalizzare competenze personali o riflettere su noi stessi. Tutto questo fa parte del contesto riabilitativo che deve essere calato nella vita delle persone per cui progettiamo un percorso che ha l’obiettivo di migliorare, mantenere o ricovare il proprio benessere mentale.

il Terp in funzione della salute mentale

La riabilitazione non è da considerarsi come un “riempimento”, ma come parte integrante ed imprescindibile di un percorso di benessere personale.

Unə bambinə o unə ragazzə che intraprende un percorso con un Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica, vuole essere consapevole di ciò che accade nella sua mente; desidera mantenere quel benessere conoscendo il percorso che ha svolto per giungere a quel punto.

Il modo migliore per poter spiegare ciò che faccio sta proprio nell’usare le parole giuste per descriverlo. E’ possibile che le emozioni siano difficili da gestire, che il proprio corpo non piaccia, che ci si senta molto stanchi o depressi, è possibile avere un’ansia incontrollabile o avere difficoltà a rapportarsi con gli altri. Tutto questo può succedere, non è una colpa. Tutto questo si può imparare a comprendere e gestire grazie ad interventi mirati di riabilitazione psichiatrica.

Articoli scientifici a riguardo

https://www.researchgate.net/profile/Rita-Roncone-2/publication/303092845_Psychiatric_Rehabilitation_in_Italy_Cinderella_No_More-The_Contribution_of_Psychiatric_Rehabilitation_Technicians/links/5979bf31aca272177c27c74b/Psychiatric-Rehabilitation-in-Italy-Cinderella-No-More-The-Contribution-of-Psychiatric-Rehabilitation-Technicians.pdf

https://www.jpsychopathol.it/wp-content/uploads/2020/10/01_Martinelli-1.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1636112/

Mostraci chi sei: fra neurodivergenza e abilismo

“Mostraci chi sei” è un romanzo edito da Uovonero edizioni che parla di neurodivergenza e abilismo. Scopriamo qualcosa di più sul libro e su queste parole!

La trama “mostraci chi sei”

Il libro è scritto da Elle McNicoll, scrittrice neurodivergente, che racconta di Cora, una ragazza di 13 anni autistica che abita con il padre e il fratello; quest’ultimo lavora per una società chiamata “Il Melograno” in cui si scoprirà durante la storia, che si occupa della creazione di ologrammi di persone.

Cora conosce Adrien, anche lui neurodivergente, e fra loro l’intesa è immediata, come immediato è il confronto sul tema dell’individualità, del concetto di normalità e della capacità della società di accettarli per quello che sono. La famiglia di Cora è attenta alle sue esigenze, l’ascolta e la accetta senza condizioni; la famiglia di Adrien invece solo in parte. Solo la madre è fiera di ciò che è suo figlio, mentre per il padre i suoi “difetti” vanno cancellati, eliminati, annullati perchè sono errori e non caratteristiche personali.

Mostraci chi sei: fra neurodivergenza e abilismo

Senza raccontarvi troppo del libro, vorrei soffermarmi sulla parte finale in cui Cora rivendica il suo diritto a scegliere per il suo benessere. Il suo diritto a decidere se e come è giusto mantenere alcune sue caratteristiche che la rendono davvero se stessa.

Un libro che può introdurre i ragazzi più giovani al tema della neurodivergenza, e gli adulti ad alcune riflessioni importanti sul nostro modo di essere persone educanti e anche professionisti sanitari.

neurodivergenza
mostraci chi sei: fra neurodivergenza e abilismo

Partiamo quindi dal significato di neurodiversità. Si basa sul concetto per cui esistono persone neurotipiche, in quanto il funzionamento del loro cervello funziona come nella maggior parte delle persone, rientra per questo nella media.

Le persone neurodivergenti invece, rientrano in alcune minoranze statistiche e possono essere autistiche, ADHD, dislessiche.

Se noi pensiamo alle divergenze come un problema puramente medico da curare, vedremo questa caratteristiche personali come un errore da correggere; se invece ampliamo il pensiero e partiamo dalla verità che siamo tutti neurodiversi, allora quelli che venivano definiti errori iniziano a prendere la forma di caratteristiche personali.

Quindi partiamo dal fatto reale, che siamo tutti diversi. Che alcuni di noi hanno diversità che ritrovano in molte altre persone , altri hanno diversità che possono ritrovarsi in un gruppo ristretto di persone. Queste caratteristiche definiscono la persona… esattamente come quelle neurotipiche caratterizzano le persone neurotipiche.

In quest’ottica anche il lavoro di un professionista sanitario deve concentrarsi non sulla correzione di errori, ma sulla percezione e consapevolezza della persona, sul modo in cui vive la sua neurodiversità. Spesso mi sono trovata a riflettere se una caratteristica fosse da assecondare nell’altro o fosse da cambiare, se dovessi intervenire o starla a guardare e attendere. La risposta è sempre stata quella di vedere quanto, quella sfumatura, potesse fare soffrire una persona, quanto potesse farla sentire inappropriata, non voluta, inadeguata; da qui il progetto non è cambiare, ma portare a consapevolezza.

abilismo

Questo ci porta inevitabilmente a pensare, riflettere e porci il dubbio di quale sia il nostro punto di vista rispetto alla disabilità. Per anni mi sono domandata quanto il mio sguardo sulla disabilità, sui disturbi mentali, fosse condizionato dalla società e dalla cultura in cui sono cresciuta o dal semplice fatto di non avere io stessa queste difficoltà. Lo scorso anno quindi ho iniziato a informarmi su questo aspetto e vi rimando quindi alla definizione di abilismo e all’articolo di Sofia Rigetti, attivista e filosofa che si occupa proprio di informazione su questo argomento. https://www.sofiarighetti.it/2019/05/17/abilismo-e-ora-di-parlarne/

L’abilismo è l’atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità. Rappresenta anche il sistema di potere che ritiene che alcune abilità abbiano più valore di altre. ( es. nella società ha più valore che ci si sposti con le gambe, rispetto a coloro che si spostano usando la parte superiore del corpo)

Questa è una delle definizioni che trovate all’interno del podcast “Senza cornice” che parla di disabilità e di abilismo e che vi consiglio di ascoltare.

mostraci chi sei… e chi sono

Questo libro offre davvero la possibilità di rileggere il pezzo di realtà che ci siamo creati. Di rivedere ciò che può essere parte di un pregiudizio interiorizzato perchè sistemico (cioè completamente dentro alle dinamiche della nostra società).

Chi di noi è un professionista della salute mentale deve porre ancora maggiore attenzione a questa dinamica, perchè il rischio di ricercare la perfezione, di voler controllare la normalità è sempre in agguato!

Abbiamo il dovere di conoscere le dinamiche sociali, linguistiche e relazionali di questi aspetti, di riconoscerli prima di tutto su di noi, per poi aiutare anche gli altri a riconoscerli e a modificarli.

Quando ci apprestiamo a creare un progetto riabilitativo, chiediamoci come si sente la persona davanti a noi, non cosa fare per farlo rientrare nella norma statistica. Chiediamoci quali strumenti possono aiutarlo ad esprimersi o a imparare, non quel strumento più di moda possiamo offrirgli!

Ci sono alcune righe trattedal primo capitolo del libro ” Anche questo è femminismo” edito da Tlon in collaborazione con Bossy, che racchiudono questa complessità:

“Anche questo è femminismo” edizioni Tlon

Disabilità come una conseguenza o risultato di una complessa interazione fra corpo, fattori ambientali e personali. (…) la disabilità sia strettamente connessa sia alla società che all’individuo, cessando di essere una frattura nello stato di salute per diventare invece una variazione nel funzionamento degli esseri umani. (pag 13, Sofia Rigetti e Marina Cuollo)

Non chiudiamoci dietro alle rigidità di progetti iper selettivi e specifici, non cerchiamo sempre di semplificare la complessità. Cerchiamo di leggere questa complessità con lenti e pensieri diversi, con informazioni diverse e adatte alla società in cui viviamo, adatta alle persone con cui interagiamo.


Salute mentale: libri divulgativi che parlano ai ragazzi

Parlare di salute mentale, per molti è ancora un tabù o qualcosa di molto difficile, specie se occorre farlo con i ragazzi. Per questo ho raccolto qui i 3 libri divulgativi che parlano direttamente ai ragazzi di salute mentale.

LA PREVENZIONE

Partiamo da un po’ di studi scientifici e di come questi poi si ritrovano nei libri divulgativi che parlano ai ragazzi di salute mentale. Quando si parla di prevenzione facciamo riferimento a 3 livelli di prevenzione:

  • Primaria: una prevenzione che mira a favorire percorsi evolutivi resilienti e a promuovere abilità di base e competenze specifiche come quelle socio relazionali e comunicative. Sono interventi che vengono svolti per un grande numero di persone e non in modo specifico a un gruppo ristretto.
  • Secondaria: si basa sull’identificazione di fattori di rischio e ha l’obiettivo di ridurre al minimo il disagio e le difficoltà che potrebbero comparire. Ad esempio programmi in territori ad alto abbandono scolastico o verso persone che hanno familiarità con disturbi mentali.
  • Terziaria: è rivolta a chi presenta già un disturbo e ha l’obiettivo l’evitamento di un peggioramento o della comparsa di altri disturbi correlati.

Possiamo trovare alcuni interessanti spunti in questo articolo scientifico proprio sulla prevenzione https://ijmhs.biomedcentral.com/articles/10.1186/s13033-020-00356-9#Fig1 , lo so che è un lungo articolo ma cerco di spiegare in breve i punti fondamentali.

Prima di tutto sottolinea quanto moltissimi fattori di rischio e segni siano presenti già nell’infanzia e quanto un’alta probabilità di questi fattori di rischio diventi poi un fattore scatenante per un disturbo mentale conclamato (soprattutto ansia, depressione e uso di sostanze). Allo stesso tempo mostra come interventi di prevenzione secondaria in caso di problematiche familiari, abuso, violenza, disturbi del comportamento o deprivazione, abbiamo dato ottimi risultati e una bassa percentuale di disturbi mentali conclamati. Da qui si descrivono alcuni step clinici con cui sono stati valutati interventi di prevenzione su larga scala… e la cultura diventa così uno degli interventi primari e necessari!

i libri come veicolo di prevenzione

Piccola guida al benessere mentale,
Ed. Usburne

Arriviamo quindi all’importanza dei libri citati all’inizio e al loro prezioso contenuto. Trovare dei libri con un linguaggio adatto ai giovani e che spieghino le basi di come funziona il nostro cervello e di come possiamo vivere la nostra salute mentale, è fondamentale. Se fossero in ogni scuola, in ogni biblioteca, se facessero parte di progetti strutturati per la maggior parte di bambini e ragazzi, avremmo già fatto una gran parte di prevenzione primaria!

Nei libri è possibile trovare alcune riposte, vedere aspetti scientifici e poter riguardare in caso di bisogno, alcune descrizioni, come ad esempio “come respirare per calmarsi”.

cosa c’è nella mia testa
cosa c’è nella mia testa, Ed. Il castoro

Nel libro “Cosa c’è nella mia testa” https://editriceilcastoro.it/libri/le-15-domande-cosa-ce-nella-mia-testa/ ; troviamo 15 domande che spesso i bambini e i ragazzi si pongono riguardo al cervello e al benessere mentale. Oltre a questo anche alcuni box in cui si spiega il perché di alcuni modi di dire ma anche di alcuni pregiudizi .

Sono domande semplici ma che vengono spiegate in modo concreto e scientifico.

Fra cui anche la domanda “perchè devo dormire?” una delle domande che ogni adulto ricorda di aver posto, e ogni bambino e ragazzo sente spesso come un’attività del tutto superflua!

sicura di te

Cerco di riassumere questo libro in alcuni concetti chiave ( il libro potete trovarlo qui: https://editriceilcastoro.it/libri/sicura-di-te-rischiare-sbagliare-e-vivere-felice-imperfetta-come-sei/ ):

ISPIRAZIONE: l’essere sicuri in noi stessi parte sempre dalle figure di riferimento che abbiamo avuto: madri, amiche, personaggi famosi ed internazionali, personaggi di libri… avere un modello che possa aiutarci a mostrare i nostri punti di forza e migliorare nelle nostre criticità. Avere l’idea di poterci migliorare, di poter fare meglio (quella che si chiama in modo tecnico “intelligenza incrementale”) ci aiuta nel cambiamento personale e aiuta al cambiamento anche in senso evolutivo, cioè da bambini ad adulti.


ERRORI: il “rischio”, accettare il rischio senza fare stupidaggini. Riflettere sull’essere ciò che si desidera valutando però ciò che questo comporta. Nel libro troviamo una riflessione sui modi per superare un eventuale fallimento: sbagliare non è un problema, può esserlo se ci lasciamo inghiottire da quell’errore.

RIPARTIRE: se sbagli, se fai le cose non al meglio, se sbagli amicizie, si può ripartire! ( sugli errori avevo già scritto qui https://www.serenaneri.it/imparare-a-sbagliare-gli-errori-come-modello/)

RIPROGRAMMARE IL TUO CERVELLO: ci sono stereotipi, cose che devi e non devi fare, modelli che devi o non devi seguire, vestiti che devi o non devi comprare… il tutto perché ti hanno insegnato a programmare il cervello in un certo modo, la cosa stupefacente è che tu puoi riprogrammarlo! Una delle parti di questo libro divulgativo che ho amato di più e utilizzato di più!


PERFEZIONISMO: con alcuni esercizi e riflessioni proposte dal libro non cercherai la perfezione, ma capirai cosa osservare, e in che modo, per evitare di raggiungere un ideale di perfezione, ma andare verso ciò che ti rende davvero quella che sei.

piccola guida al benessere mentale

La salute mentale cambia nel corso della vita e occorre prendersene cura: spiega che alcuni momenti di tristezza, di ansia, di difficoltà sono normali, ma che se ci sono altri segni o i tempi diventano più lunghi occorre recarsi da uno specialista.

Piccola guida al benessere mentale, Usburne

Nella guida si parla di disabilità: punto che mi ha entusiasmato perché spesso non viene preso minimamente in considerazione. Parla di disabilità personale ma anche della fatica di vivere con un famigliare disabile. Penso ai fratelli di persone disabili che spesso vengono investiti di grandi responsabilità e che possono avere bisogno di un supporto. Esiste anche la possibilità di essere figli di persone con disabilità, fisiche o mentali. In questa parte si pone grande attenzione al “poter chiedere” un aiuto come sostegno personale per migliorare il proprio benessere mentale.

Sessualità: intesa come orientamento sessuale e educazione all’affettività, tema importantissimo ma ancora un grande tabù.

Social: l’influenza dei “mi piace” sui social e la differenza fra le istantanee di vita e quelle modificate per ottenere un’approvazione virtuale. Cosa innescano i “mi piace” nel nostro cervello e cosa fare per ottenere approvazioni nella realtà.

Problemi salute mentale: quali sono i principali, come si manifestano e quando chiedere aiuto ma anche cosa fare se un amico ti confida alcuni problemi personali.

come si è evoluto il nostro cervello…

Puoi trovarlo qui: https://usborne.com/it/piccola-guida-al-benessere-mentale-9781474964876

Spero possano uscire tanti e tanti altri libri su questo tema: per togliere il tabù nel parlarne, per aiutare i più giovani a poter chiedere aiuto in modo naturale e per condividere pratiche di prevenzione primarie ma essenziali.

..quindi è normale…

Il tuo cervello è come un televisore con antenna che riceve e trasmette informazioni, e a volte, in qualsiasi periodo della vita, queste trasmissioni possono essere disturbate. A volte sono momentanei, altre volte cronici…

Cosa c’è nella mia testa.

Il gioco in riabilitazione

giocare oltre le regole: progettare e divertirsi durante le attività

Il gioco in riabilitazione è uno strumento fondamentale per motivare i bambini e per raggiungere veri obiettivi riabilitativi. Ma andiamo con ordine.

perchè il gioco in riabilitazione?

La riabilitazione in età evolutiva, cioè con bambini e ragazzi, può avere varie caratteristiche:

  • può potenziare delle abilità presentii parte o in modo non sufficiente ( attenzione, memoria, pianificazione di una serie di attività),
  • può abilitare nel caso non siano presenti alcune specifiche abilità come ad esempio la capacità di condivisione o di relazione reciproca

In ogni caso la scelta del tipo di obiettivo avviene dopo una valutazione delle abilità specifiche della persona sia attraverso test, che attraverso un’attenta osservazione.

Il gioco è uno strumento fondamentale in riabilitazione perché dentro il gioco possiamo trovare storie, strumenti, agire sulla relazione e sulle singole abilità cognitive (attenzione, memoria, logica…) e assieme a questo il divertimento, la relazione interpersonale e la possibilità di mettersi alla prova attraverso situazioni nuove e che possono ripresentarsi nella vita di tutti i giorni.

Come organizzare il gioco in seduta

La prima cosa da fare è sempre pensare all’obiettivo che si intende raggiungere nell’intervento, sia nel lungo termine che nel breve termine, da qui si inizia a pensare a quale sia il gioco più adatto anche in base al desiderio e a ciò che piace alla persona.

Attenzione! Ogni gioco può essere adatto a un obiettivo perchè ciò che fa la differenza è il modo in cui lo pensiamo, e soprattutto i modi che ci aiuteranno a gestire gli errori e le difficoltà che possono emergere durante il gioco ( di errori ne avevo già parlato qui https://www.serenaneri.it/imparare-a-sbagliare-gli-errori-come-modello/) .

Prima di iniziare un gioco è importante pensare ai pre-requisiti, cioè a quelle caratteristiche che sono indispensabili per poter giocare. Ad esempio se è un gioco sulla turnazione, occorre che il bambino o la bambina conoscano l’alternanza del turno, se c’è un dado occorre che conoscano i numeri fino a 6… in caso contrario si può pensare a un dado con i colori e non coni numeri o di un’attività che aiuti nella conoscenza base di questa abilità.

gestire le difficoltà

Pensare a come gestire le difficoltà è un’altra parte fondamentale del gioco: in che modo correggere il bambino o la bambina davanti a un errore? Occorre dare un aiuto verbale o attraverso l’esempio e il comportamento?

Guardate ad esempio la foto qui sotto: come possiamo correggere questo errore nel posizionamento delle carte? Ma soprattutto quale sarà il metodo migliore perchè poi questa correzione possa essere generalizzata anche in altri contesti ed apprendimenti?

Possiamo ad esempio mostrare un modello della nave, indicare al bambino di riguardare con attenzione ciò che ha fatto, staccare leggermente le carte posizionate in modo errato e riprovare. Tutte queste modalità che richiamano le tecniche comportamentali più conosciute (modeling, shaping) sono corrette, ma vanno scelte capendo ciò che può servire di più alla persona. Questo significa anche riflettere a come può riproporre successivamente quella strategia in altri contesti.

Giocare in terapia deve sempre essere accompagnato al divertirsi, solo in questo modo stimoleremo la motivazione, l’attenzione e le capacità necessarie per poter potenziare anche le abilità superiori… e poi divertirsi fa un gran bene anche a noi adulti!

Se siete interessati a questo argomento, qui sotto trovate un link a Ko-fi e attraverso un piccolo caffè potete trovare un pdf in cui trovare altre informazioni sul gioco

Diventare grandi con la Mindfulness

Partiamo dal fatto che per molto tempo sono stata molto scettica rispetto la Mindfulness sia per la pratica che nella teoria, mi sembravano lontani dalla realtà, mi sembravano solo parole per vendere o convincere le persone, una delle tante mode che passavano per le sfere psicologiche e riabilitative. Poi ho iniziato a informarmi e capire di più perchè c’era qualcosa che in fondo mi attraeva in questa pratica della Mindfulness.

“Impareranno ad associare la mindfulness a qualcosa di benefico per loro, se praticarla sarà un momento di benessere e non di stress. Integreranno qualità mindful nella loro vita quando lo vedranno fare a te […] che sei l’adulto del loro cuore ” (pag. 29)

Ho letto alcuni articoli scientifici, studi specialistici, tutto chiaro ma mi sembravano ancora poco pratici e poco realizzabili; ho cercato alcuni libri per bambini, ma sembravano adatti solo a bambini già “adatti” a certi tipi di esercizi… poi ho scoperto questo libro.

Già dal titolo lo trovo bellissimo, il fatto che fare minduflness con i bambini significa esserlo noi come adulti; significa già incorporare il fatto che non è una pratica che va di moda, ma uno stile di vita che deve partire dagli adulti e si torna sul concetto fondamentale di esempio.

Lavinia ha condensato in questo libro anni di pratica in cui descrive le difficoltà delle persone che si sono avvicinate, assieme alle bellezze che la potenzialità mindfulness ha al suo interno; i libri che partono dalla sperimentazione sono sempre quelli che preferisco perchè sono concreti, pratici e reali. Durante la lettura del libro mi sono sentita meno imperfetta, più capace, e ho pensato che già questo passaggio sia fondamentale per il lavoro che svolgo con bambini ragazzi ogni giorno. Chiedo loro di sentirsi così: capaci. 

Questo libro permette di cogliere la pratica mindfull nella generalizzazione di ogni momento, certo sono presenti esercizi e spunti per poter avere momenti dedicati, ma è tutta la spiegazione precedente che permette davvero di poter cambiare.

All’interno del libro troverete Goleman, San Francesco di Sales, citazioni di bambini e di adulti, riflessioni che vi colpiranno sul personale e altre che vedrete subito trasportabili nella pratica quotidiana. Troverete e ritroverete tanti aspetti conosciuti come l’importanza delle emozioni, il mito della perfezione e la ricerca della felicità, ma troverete anche le riflessioni che stanno dietro a queste estenuanti e sempre presenti ricerche.

Quindi se come me siete un po’ scettici, vi sentite distanti o semplicemente volete conoscere qualcosa in più senza scendere in troppi tecnicismi, questo è il libro che fa per voi…e vedrete come leggerlo sarà già un momento mindful per venire in contatto con le vostre emozioni o con ciò che siete.

Trovate tutto qui https://laviniacostantino.com/diventare-grandi-con-la-mindfulness